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L’ingerenza umanitaria: Il caso dei kurdi


Auteur :
Éditeur : Biblioteca Franco Serantini Date & Lieu : 1996, Pisa
Préface : Pages : 104
Traduction : ISBN : 88-86389-27-2
Langue : ItalienFormat : 140x215 mm
Code FIKP : Liv. Tur. Mus. Ing. N° 107Thème : Général

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L’ingerenza umanitaria: Il caso dei kurdi

L’ingerenza umanitaria: Il caso dei kurdi

Jasim Tawfik Mustafa

Biblioteca Franco Serantini

All’indomani della fine della guerra del Golfo, i Kurdi si ribellarono al giogo che li sottometteva da lungo tempo al regime di Saddam Hussein, sperando che I’onu sostenesse le loro rivendicazioni nazionali. Invece la coalizione internazionale, soprattutto gli Stati occidentali, ha paradossalmente preferito salvare la dittatura irachena, dando via libera alla repressione sui Kurdi. Grazie alla spinta dell’opinione pubblica mondiale, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la risoluzione 688, che condanna l'atteggiamento iracheno. Questa risoluzione è stata considerata come il primo caso di “ingerenza umanitaria” nella storia dell’ONU, che da allora ha dedicato sempre maggiore attenzione alla tutela delle popolazioni coinvolte in conflitti armati.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di dare un contributo allo studio dell’ingerenza umanitaria, e tentare di fare luce sulle atrocità e sui massacri subiti dai Kurdi come nazione, e in particolare dei Kurdi dell’Iraq per mano del regime del clan di Saddam Hussein.


Jasim Tawfik Mustafa è nato nel 1959 nel Kurdistan iracheno; esule, dal 1981 vive a Pisa, dove si è laureato in Scienze Politiche. Specializzato all’Università di Padova in Istituzioni e Tecniche di Tutela dei Diritti Umani, ha frequentato il Corso per la formazione del personale civile delle operazioni umanitarie e di peace-keeping e delle missioni di osservazione elettorale presso la Scuola Superiore “S. Anna” di Pisa.
Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: I Kurdi: un popolo in cerca di solidarietà, Pisa 1989; Le radice del problema kurdo, Pisa 1991; Il Parlamento Europeo e la questione kurda, in «Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli», Padova 1993; Turchia: tortura, trattamenti inumani e degradanti: diritti e condizioni dei bambini kurdi in Turchia, Pisa 1995; e per le nostre edizioni Kurdi: il dramma di un popolo e la comunità internazionale, 1994.



PREMESSA

Con l’invasione del Kuwait la comunità intemazionale ha avuto la possibilità di conoscere la vera natura criminale del regime di Saddam Hussein che aveva commesso infinite violazioni del diritto intemazionale al punto di meritarsi la fama di “piccolo Hitler del Medio Oriente”.
All’indomani della guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait (17 gen-naio-27 febbraio 1991) i Kurdi si ribellavano al giogo che li sottometteva da lungo tempo, sperando che la comunità intemazionale sostenesse le loro rivendicazioni nazionali. Invece la coalizione intemazionale, soprattutto gli Stati occidentali, ha paradossalmente preferito salvare la dittatura di Saddam Hussein, dando via libera alla repressione kurda. Grazie alla pressione dell’opinione pubblica mondiale, colpita e sensibile alle tragiche immagini trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo, che mostravano la fuga di tre milioni di Kurdi per scampare dalle atrocità delle truppe di Baghdad, il Consiglio di Sicurezza dell’oNu ha approvato la risoluzione 688 (vedi il testo in Appendice A), e condannato la repressione irachena. Questa risoluzione è stata considerata come il primo caso di “ingerenza umanitaria” nella storia dell’oNu, che ha autorizzato l’opera di assistenza alle popolazioni kurde irachene. Successivamente è stata creata una zona di rifugio sicuro (save haven) e una di interdizione di voli militari (no fly zone) per la difesa dei Kurdi.

Da allora il concetto di ingerenza umanitaria ha acquistato maggiore attenzione sia da parte dell’oNu che da parte di giuristi, professori universitari e di Organizzazioni Non Governative (ong). In particolare, dopo lo scoppio della guerra nell’ex Jugoslavia, I’onu ha intensificato le sue attività per la tutela delle popolazioni coinvolte in un conflitto armato. Inoltre si è arrivati alla creazione di due Tribunali intemazionali, per individuare e processare i colpevoli dei crimini commessi nell’ex Jugoslavia e in Ruanda: ciò è una novità di grande importanza per la protezione dei diritti umani non solo per i paesi in questione ma in tutto il mondo. Attualmente, nell’ambito dell’oNu si sta studiando la possibilità di creare un “Tribunale Penale Intemazionale Permanente” per i futuri crimini, ovunque vengano commessi.

Sono passati cinque anni dalla risoluzione 688, ma la situazione dei Kur-di iracheni non è migliorata. Anzi, per molti aspetti si è drammaticamente aggravata: i Kurdi finora subiscono un doppio embargo, l’uno dell’oNU contro tutto il territorio iracheno, l’altro del governo di Baghdad contro la regione kurda. Inoltre, la repressione dei diritti umani in Iraq continua senza interruzione; le notizie che arrivano dal paese sono sempre più allarmanti*. E inconcepibile e assurdo che i responsabili di tutti questi crimini tuttora siano al potere e godano di immunità e credenziali diplomatiche.

Nel momento in cui le attività di carattere umanitario dell’oNU, dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (osce), dell’Unione Europea (ue), e delle ong aumentano in varie parti del mondo, la questione kurda (in Iran, Iraq, Siria e in Turchia) non riesce a trovare un posto nell’agenda di nessuna organizzazione. È paradossale per i paesi della nato, i quali sono diventati attori principali per la pace nell’ex Jugoslavia, continuare a sostenere la politica di apartheid che la Turchia applica contro la popolazione kurda, privata della sua identità nazionale, culturale e linguistica.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di dare un piccolo contributo allo studio dell’ingerenza umanitaria, e tentare di fare luce sulle atrocità e sui massacri subiti dai Kurdi come nazione, e in particolare dei Kurdi dell’Iraq per mano del regime sanguinario della famiglia-clan di Saddam Hussein. Il compito non è facile, poiché assistiamo a un silenzio totale da parte degli “addetti ai lavori” e dei mezzi di informazione di fronte alle violazioni dei diritti più semplici ma fondamentali del popolo kurdo, e per il fatto che in Italia esiste pochissima letteratura sull’argomento in questione. Tuttavia, il presente lavoro tenterà di dare un panorama imparziale, prescindendo, per quanto possibile, dal personale coinvolgimento emotivo dell’Autore, con la speranza che ciò possa essere utile e favorire alla discussione sulla violazione dei diritti umani in Kurdistan. Naturalmente esso non pretende di essere esaustivo; resta aperta la strada per quanti vogliano dare il loro apporto, approfondire aspetti giuridici, politici, intellettuali per indicare le opportune soluzioni al problema del martoriato popolo kurdo.

Voglio infine ringraziare il prof. Francesco Leita (Università di Padova) e gli amici Paolo Arduini e Pietro U. Dini, che mi hanno dato preziosi consigli nella correzione e revisione del testo.

j.t.m., Pisa, dicembre 1995

* Commission des Droits de l’Homme (cdh), e/cn. 4/1995/56, 15.2.1995, Rapport sur la situation des droits de l’homme en Iraq établi par M. Max Van der Stoel, Rapporteur special de la CDH, conformément à la résolution 1994/74 de la Commission (pp. 35) (cfr. infra Appendice D); ai, Report 1995, London, ai Publications: cfr. la voce “Iraq”, pp. 166-169.


Introduzione

In questi ultimi anni sono accaduti molti avvenimenti significativi a livello intemazionale: è finita la “guerra fredda”, e al posto del bipolarismo, basato sulle contrapposizioni ideologiche, sono emerse nuove norme intemazionali che stanno mettendo in discussione l’antiquato modo di intendere la “competenza interna” degli Stati. Per fortuna è scomparso il pericolo di uno scontro nucleare fra le vecchie grandi potenze antagoniste; la cooperazione intemazionale si estende a tutti i campi della vita: politica, economica, sociale, dello sviluppo, dell’ambiente, ecc. Così, in questo scenario si parla sempre di più di un “nuovo ordine intemazionale” che dovrebbe mettere al primo posto la tutela e la salvaguardia dei diritti umani nella sua agenda di lavoro. Una tutela dei diritti umani che sia effettiva e basata sulle norme giuridiche codificate sul piano universale.

Nel passato le violazioni dei diritti umani, le atrocità commesse sia dagli Stati che dai gruppi organizzati all’interno di un paese rimanevano circoscritte nelle “stanze” di alcuni organi dell’oNu competenti della materia, e solo gli esperti burocrati governativi avevano il monopolio di misurare, con il loro metro, la gravità di tali fatti1. Inoltre, la divisione del mondo in sfere di influenza impediva la protezione concreta dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo, in primo luogo il diritto alla vita, il diritto alla integrità psico-fisica. Ciò avveniva perché, grazie a tale divisione, i giudizi sulla condotta degli Stati prendevano un colore politico anziché giuridico, e per l’antagonismo, soprattutto Est-Ovest, gli organi dell’oNu erano paralizzati, diventati un corpo senza anima, un teatro di sfilata rituale per i capi di Stato o i loro rappresentanti, incapaci di trovare soluzioni per le numerose crisi dell’umanità. Questa situazione facilitava gli Stati con regimi autoritari e repressivi a perpetrare crimini e delitti non solo contro i propri cittadini, ma anche contro tutta l’umanità.

Nel periodo della contrapposizione “Est-Ovest” i conflitti armati regionali e le guerre civili, che provocavano sofferenze incalcolabili per la popolazione, erano spesso frutto della vecchia logica di appartenenza a una delle alleanze politico-militari esistenti. In questo quadro gli Stati giustificavano i loro comportamenti interni in base al principio del dominio riservato, che sancisce l’obbligo di non interferire negli affari interni di Stati terzi. Questo principio ha radici lontane nel diritto consuetudinario e pattizio, iscritto nella Carta dell’oNU, e così gli illeciti intemazionali sono stati coperti e nascosti per un lungo tempo.

Sostenere tout court il principio del dominio riservato significa giustificare, in qualche modo, i misfatti di numerosi Stati. Durante i conflitti armati, dietro questo principio venivano commesse atrocità contro le popolazioni civili in violazione delle regole umanitarie, in alcuni casi le crudeltà arrivavano fino al “genocidio”. Ma la comunità intemazionale non aveva mezzi per intervenire e portare assistenza alle popolazioni bisognose. In assenza dell’oNU, in alcuni conflitti i singoli Stati sono intervenuti, spesso con il pretesto di salvare le vite umane, suscitando alternativamente approvazione e dissenso della comunità internazionale.

Nell’attuale momento storico delle relazioni intemazionali, quasi tutta la dottrina è concorde sul fatto che la competenza interna degli Stati non può giustificare le gravi violazioni dei diritti umani e delle regole fondamentali del diritto intemazionale. In particolare, dopo la fine del bipolarismo sono scoppiati numerosi conflitti regionali di carattere nazionale, etnico e religioso, con una crudeltà inaudita. Infatti, fino al 1988 la maggior parte dei conflitti armati era di carattere interstatale, invece oggigiorno le guerre interne agli Stati tendono a crescere. Tali “guerre civili”, per l’impiego sempre più abituale di armamenti sofisticati, comprese le mine, hanno causato un grande numero di vittime fra la popolazione civile. Il numero dei “rifugiati” è aumentato da 13 milioni nel 1987 a 26 milioni alla fine del 1994, e il numero dei profughi interni (internally displaced persons) ha raggiunto 40 milioni.

Di fronte a tali problemi, grazie ai mezzi di informazione televisiva, l’opinione pubblica mondiale è stata colpita e coinvolta, e in conseguenza di ciò le voci a favore di un intervento sia intemazionale che regionale per alleviare le sofferenze delle popolazioni civili si sono moltiplicate. Inoltre è entrato in crisi il vecchio Stato centralista, non più capace di gestire le relazioni intemazionali, che stanno assumendo il carattere di “pluri-dimensione”, e l’emergenza complessa che si manifesta in varie parti del mondo. Accanto allo Stato sono nati nuovi soggetti e attori della politica intemazionale: le ong, le associazioni di volontariato2, la diplomazia popolare, gli enti locali, i movimenti transnazionali, ecc. Ciò dimostra che le relazioni intemazionali e la dottrina del diritto intemazionale sono in una evoluzione costante, non essendo più legate allo schema dell’epoca del bipolarismo.

Il problema di intervenire all’interno di un determinato Stato non riguarda soltanto momenti drammatici durante conflitti armati, ma anche situazioni altrettanto tragiche di catastrofi naturali come terremoti, epidemie, alluvioni, ecc. Quindi la questione dell’intervento umanitario può assumere carattere militare o civile a seconda della gravità e della situazione nella quale si trovi la popolazione. Per l’intervento civile è richiesto il consenso dello Stato territoriale nel quale deve aver luogo il soccorso alle popolazioni colpite da eventi naturali; tale consenso generalmente viene dato e in alcuni casi viene addirittura richiesto dallo stesso Stato territoriale. In questi casi l’intervento non pone alcun problema giuridico, ma per l’intervento militare emergono numerosi problemi sia di carattere giuridico che politico.

In relazione alle suddette tematiche sul piano della dottrina sono nati numerosi concetti che perseguono lo stesso scopo3. Nella storia dell’ONU vi sono molti esempi di intervento umanitario, ma tale concetto si è arricchito con la fine della guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait quando, per la prima volta nella storia, il massimo organo delle un, il Consiglio di Sicurezza (cds), ha deciso di intervenire nella questione kurda irachena. In seguito alla rivolta dei Kurdi e alla sanguinosa repressione delle truppe di Saddam Hussein, il cds il 5 aprile 1991 ha approvato la famosa “risoluzione 688” dando via libera all’operazione di assistenza alla popolazione kurda irachena. Successivamente tale risoluzione è stata utilizzata come punto di riferimento per l’operazione provide comfort degli alleati nella parte kurda dell’Iraq, e per le iniziative dell’ONU in altre situazioni belliche. Infatti le un in questi ultimi anni sono intervenute, sempre con maggior rigore, in una miriade di conflitti di carattere interno e in alcuni casi hanno inviato i caschi blu (peace-keeping, peace-building e peace-enforcing), in altri casi missioni di monitoraggio o di osservatori sul luogo. In questi pochi anni (1991-’95) il CDS ha intensificato le sue iniziative, approvando ben 70 risoluzioni all’anno (mentre negli anni 1946-’90 la media delle risoluzioni con molta difficoltà raggiungeva 15). Ciò si deve anche alla fine del bipolarismo e alla crescente sensibilità per le salvaguardia della dignità dell’essere umano, e per la volontà di rispettare le regole fondamentali del diritto intemazionale. Infatti nello stesso periodo (1946-’90) i membri permanenti del cds (in particolare gli usa e I’urss) hanno esercitato il diritto di veto ben 279 volte, ostacolando cosi la soluzione di numerosi problemi del mondo4.

Con la fine della guerra fredda il coinvolgimento delle un nelle operazioni di mantenimento della pace cresce giorno dopo giorno; vi sono state 13 operazioni di peace-keeping dal 1945 al 1987, e altre tredici operazioni dal 1987 fino ai giorni nostri5. Ciò significa che il coinvolgimento dell’oNU nelle situazioni di conflitto armato, sia di carattere intemazionale che interno, ha assunto una dimensione molto ampia, superando il divieto previsto dell’art. 2 § 7 della sua Carta.

I nostalgici del vecchio ordine mondiale pensano che, in mancanza di un certo equilibrio intemazionale, i conflitti armati possano aumentare, ed esponenti delle ong avvertono il pericolo che, in assenza di una autorità sovranazionale imparziale, gli Stati potenti possano ingerirsi negli affari interni degli Stati deboli. In effetti, la stragrande maggioranze degli Stati di nuova indipendenza sorti dalle ceneri dell’ex urss si trovano affetti da più o meno gravi conflitti interni. Dall’altra parte gli usa hanno avuto mano libera per intervenire in numerosi Stati (per esempio nel 1989 in Panama e nel 1994 a Haiti). Tutto ciò dimostra che la tematica dell’ingerenza umanitaria presenta non pochi problemi. Tuttavia la richiesta per l’uso della forza per la tutela dei diritti umani, con il passare del tempo, raccoglie sempre maggiore consenso nella comunità intemazionale.

II PE in una risoluzione del 20 aprile 1994 sul “diritto di intervento umanitario” ha cercato di definire tale concetto nel modo seguente:
La tutela, da parte di uno Stato o di un gruppo di Stati, dei diritti umani fondamentali di persone che appartengono ad altri Stati e/o che vi soggiornano, nel caso in cui tale tutela comporti una minaccia di violenza o l’impiego della violenza6.

Secondo questa definizione l’intervento unilaterale e preventivo non è da considerare come una violazione del diritto intemazionale. Il pe, nel chiarire meglio la sua posizione, ha ribadito che “qualora ogni altro mezzo sia risultato vano, la tutela dei diritti umani rappresenti una giustificazione valida per l’intervento umanitario, con o senza l’uso di mezzi militari”; e ha confermato che tale intervento “debba essere ammesso qualora non sia ragionevolmente possibile agire in altro modo”.

Bisogna riconoscere al pe il merito di avere tentato di dare alcuni criteri fondamentali per la modalità del ricorso all’intervento umanitario, che dovrebbe ispirarsi ai seguenti principi:
a) deve trattarsi di una situazione di emergenza di carattere eccezionale e particolarmente grave sul piano umanitario, nell’ambito di uno Stato i cui governanti non siano riconducibili alla ragione se non attraverso l’uso di mezzi militari;
b) deve risultare chiaro che l’apparato delle un non è in grado di agire efficacemente (e tempestivamente);
c) tutti gli altri mezzi, nella ragione del possibile e del ragionevole, devono essere stati esperiti e aver dimostrato la loro inefficacia;
d) l’organismo o lo Stato che intervengono non devono avere interessi nella situazione, nel senso che la difesa dei diritti umani deve costituire lo scopo principale dell’intervento e non devono sussistere motivazioni di ordine politico ed economico; sottolinea a tale proposito l’importanza della piena esecuzione degli accordi che vietano la presenza di forze armate che potrebbero incrementare l’instabilità;
e) gli Stati che sono stati formalmente condannati dalla comunità internazionale per interventi illeciti in una determinata regione non devono essere autorizzati a partecipare all’intervento umanitario in altre regioni fin quando non avranno posto termine a tutte le loro operazioni illecite;
f) l’intervento deve limitarsi a obiettivi specifici e deve avere conseguenze minime per l’autorità dello Stato oggetto;
g) l’impiego della forza deve essere proporzionato alla situazione e provvisorio;
h) l’intervento deve essere immediatamente notificato alle un e non incorrere in una sua condanna;
i) l’intervento non deve costituire una minaccia per la pace e la sicurezza intemazionali e comportare perdite in vite umane e sofferenze maggiori di quelle che si intendono evitare.

Infine il pe, nella conclusione della citata risoluzione, ha chiesto agli Stati dell’uE di prendere posizioni comuni, nelle sedi intemazionali, a favore del riconoscimento del diritto di intervento umanitario, e di sostenere i criteri su indicati.

In questo lavoro si cercano di delucidare i principali aspetti e le conseguenze giuridico-politiche, nonché le modalità, dell’ingerenza umanitana. Questo ultimo tipo di intervento si è presentato sulla scena intemazionale in seguito ai conflitti di questi ultimi anni, scoppiati in numerose parti del mondo: la questione kurda ne è direttamente coinvolta, poiché si riferisce a uno dei conflitti armati più lunghi e più tragici, che si svolge su territori di più stati, in una zona che da sempre è stata considerata a rischio per la pace e la sicurezza, sia regionale sia intemazionale. Inoltre nel conflitto kurdo sono state commesse gravi violazioni dei diritti umani: deportazione, campi di internamento, uccisioni sommarie extragiudiziarie, uso di armi chimiche, pulizia e stupro etnico, fatti che solo in questi ultimi anni sono stati almeno parzialmente conosciuti dall’opinione pubblica, che ha reagito chiedendo un intervento per salvare la popolazione civile. È stata allora creata una “zona di sicurezza” e una di “interdizione di voli militari” a favore, dei Kurdi iracheni, e numerose agenzie dell’oNu sono presenti nella parte kurda del paese. Tuttavia sono passati 5 anni dalla risoluzione 688, ma la situazione dei Kurdi iracheni è di stallo; essi subiscono doppio embargo, uno dell’oNu contro tutto il territorio iracheno, e l’altro del governo centrale di Baghdad contro la regione kurda7.

In seguito allo scoppio dei conflitti nell’ex Jugoslavia, in Somalia, nel Ruanda, e altrove, le iniziative a favore dell’intervento umanitario, anche coercitivo, in questi paesi sono aumentate con il passare del tempo. Il vocabolario giuridico intemazionale si è arricchito di termini come “pulizia, purificazione, epurazione e stupro etnico”; sono state condotte numerose ricerche metodologiche su quanto accade in questi paesi. Oltre alle pubblicazioni degli organismi dell’oNu, si aggiunge una vasta documentazione raccolta dalle ong che hanno contribuito a formare una coscienza comune nel ripudio della guerra e dei suoi orribili crimini. Invece, per quanto concerne la questione kurda, sia politicamente sia giuridicamente, notiamo un silenzio pressoché totale: né gli organi dell’oNu, né le ong hanno preso serie iniziative per una soluzione pacifica.

Il principio di non-ingerenza

Ancora oggi una parte della dottrina giuridica intemazionale rifiuta ogni giustificazione dell’intervento negli affari interni di uno Stato, appellandosi al “vecchio” diritto intemazionale che considerava la sovranità assoluta come un attribuito sacro dello Stato, che bisogna rispettare in tutte le circostanze e a tutti i costi. Tale diritto, che tradizionalmente ha tutelato gli Stati da ogni interferenza esterna, sta perdendo terreno, anche per il fatto che esso considera gli Stati come unici soggetti di diritto intemazionale. Secondo questa teoria, lo Stato è libero di organizzare come vuole la sua vita interna, lontano da ogni sorta di pressione. I sostenitori della non-ingerenza pensano così di impedire che gli Stati potenti intervengano negli affari interni di quelli deboli (come è accaduto con il colonialismo o con la politica di “potenza” nel secolo scorso). Inoltre, per rafforzare la loro posizione giuridica, essi chiamano in causa l’art. 2 § 7 della Carta dell’oNU che precisa: “Nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che appartengano essenzialmente alla competenza intema di uno Stato né obbliga i Membri a sottoporre tali questioni a una procedura di regolamento in applicazione del presente Statuto-, questo principio non pregiudica però l’applicazione di misure coercitive del capitolo vii”8.

Lungo il percorso della storia di questi ultimi 50 anni, gli Stati hanno preteso (e un gruppo di Stati ancora condivide tale posizione) che dal principio della sovrana uguaglianza derivi un obbligo di astensione da ogni intervento contro i membri dell’oNU. A tale proposito Pag, con la “dichiarazione sulle relazioni amichevoli”, ha riconfermato il principio della non-ingerenza in modo ancora più deciso e ha precisato che:

Nessuno Stato o gruppo di Stati ha il diritto di intervenire, direttamente o indirettamente, per una ragione qualsiasi, nelle questioni interne o esterne di un altro Stato. Di conseguenza, non soltanto l’intervento armato, ma anche qualsiasi altra forma di ingerenza o qualsiasi minaccia, diretti contro la personalità di uno Stato o contro i suoi elementi politici, economici e culturali, sono contrari al diritto internazionale.

Nessuno Stato può attuare né incoraggiare l’uso di misure economiche, politiche o di qualsiasi altra natura per costringere un altro Stato a subordinare l’esercizio dei propri diritti sovrani, e per ottenere da esso vantaggi di qualsiasi natura [„.]9.

Questo principio, che viene riconfermato nel 198110, apparentemente è molto forte e non lascia spazio per la discussione su un’eventuale ingerenza negli affari interni di uno Stato. Ma per capire la portata e il contenuto reale di questa risoluzione bisogna tenere conto del contesto storico delle relazioni intemazionali; essa è stata adottata, senza il voto, su iniziativa dei paesi di nuova indipendenza. Questi ultimi avevano seri problemi interni di carattere politico, economico, etnico e religioso, con una struttura statale debole. Quindi l’esigenza di proteggere le prerogative dello Stato (in particolare per quelli deboli), da ogni interferenza esterna, era forte e sentita nella comunità internazionale di allora. La realtà odierna è ben diversa, subordinata alla condotta dello Stato in relazione ai numerosi impegni che liberamente assume.
Infatti tale risoluzione nella parte finale precisa che tutti i principi “nella loro interpretazione e loro applicazione sono legati fra di loro ed ogni principio deve essere interpretato nel contesto degli altri principi”. Questi ultimi concernono l’autodeterminazione e l’eguaglianza dei popoli, la tutela delle minoranze, il rispetto dei diritti umani e del diritto intemazionale, la rappresentatività e il pluralismo politico, e altro. Quindi i settori dove si esercita, esclusiva-mente, la competenza interna si stanno restringendo sempre di più.

Il problema nasce nel momento in cui si intenda indicare quali siano le questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato. Sia la dottrina che la Corte Intemazionale di Giustizia (cig) sono concordi sul fatto che tutte le materie che non sono regolate dal diritto intemazionale (consuetudinario o pattizio) rappresentano domestic jurisduction. Si è consapevoli che nel mondo di oggi ci sono ben poche materie di attinenza politica, economica, sociale, culturale, ambientale, o relative alla questione dei diritti umani e al trattamento degli stranieri, che siano rimaste fuori da una regolamentazione intemazionale. Quindi la non-ingerenza dipende, oltre che dagli impegni che uno Stato liberamente assume, anche e soprattutto dal suo modo di agire di fronte a tali obblighi, sia all’interno del proprio paese che fuori.

Il fronte giuridico e politico della non-ingerenza, se nel passato ha avuto la forza e le giustificazioni per reclamare la salvaguardia di un tale principio, oggigiorno si trova davanti a cambiamenti strutturali nelle relazioni intemazionali che sono di portata mondiale e di cui non si può non tenere conto, vista la nuova realtà venutasi a creare. Inoltre il principio di non-ingerenza non può escludere l'azione del cds che ha il compito di mantenere la pace e la sicurezza intemazionale; di fronte agli eventuali pericoli, il cds ha diritto e il dovere di adottare misure coercitive contro gli Stati dai quali provengono i pericoli per la pace.

La non interferenza tutela gli Stati solo da interventi illeciti, cioè stabilisce che non è permesso a uno Stato o un gruppo di Stati di intervenire, in violazione di principi di diritto intemazionale, nelle questioni che appartengono esclusivamente al dominio riservato di un altro Stato. Questo significa che, da un lato tutti gli interventi non sono tout court proibiti, e dall’altro lato che lo Stato in questione non ha la libertà assoluta di agire e di organizzare la sua vita interna.

L’ingerenza

Questa forma di azione a livello intemazionale ha la propria radice nella Carta dell’oNu, che pone una serie di obiettivi da raggiungere: la promozione e la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, l’autodeterminazione dei popoli, la lotta contro la discriminazione razziale, la cooperazione intemazionale, il mantenimento della pace, il benessere comune, ecc11. Inoltre, con il passare del tempo I’onu ha potuto concludere numerosi trattati intemazionali concernenti i diritti umani, l’ambiente, lo sviluppo, le regole umanitarie nei conflitti armati, la tutela delle minoranze, dei rifugiati, delle donne, dei bambini, la lotta contro la fame, la tutela del patrimonio culturale dell'umanità, e il suo coinvolgimento giorno dopo giorno aumenta con un ritmo sempre più crescente. Quindi le iniziative dell’oNu, delle sue agenzie specializzate e dei singoli Stati, indirizzate a conseguire tali obiettivi, rientrano nella legalità intemazionale.

Si è detto che tutte le materie regolate dal diritto internazionale restano fuori dal dominio riservato dello Stato. La Carta dell’oNu è un accordo intemazionale, e la violazione dei suoi principi e dei suoi fini da parte di uno Stato produce un danno per tutta la comunità intemazionale che ha il diritto e il dovere di reagire e di prendere contromisure di fronte a tali inosservanze11 12. Così per la giurisprudenza il diritto intemazionale è il criterio fondamentale di primo grado per valutare se una materia rientra o no nella competenza interna di uno Stato. Perciò chi viola un obbligo intemazionale può essere richiamato e rimproverato da parte di uno o più Stati a rispettare gli impegni presi, ed è consentito promuovere le iniziative previste dalla Carta dell’oNu o da altri stmmenti giuridici per fare cessare gli illeciti intemazionali.

Il principio di non-ingerenza non può ostacolare le misure coercitive del cds contro gli Stati colpevoli di turbare la pace e la sicurezza mondiale. Nel caso kurdo il cds ha precisato che le gravi violazioni dei diritti umani all’interno di un paese mettono in pericolo la pace e la sicurezza intemazionale. In questo ambito l’ingerenza può assumere anche carattere militare secondo le modalità previste dalla Carta dell’ONU.

Il principio morale d’ingerenza

Esiste inoltre il principio morale che, anche in assenza del diritto intemazionale, consente agli Stati di intervenire in alcune situazioni di emergenza che turbino la coscienza umana13. Tale principio morale, oggi largamente riconosciuto dalla gran parte della comunità intemazionale, è diventato un postulato importante per la costruzione di un principio giuridico, particolarmente in campo umanitario.

In relazione all’uso massiccio di armi chimiche da parte del governo iracheno contro la popolazione kurda, il pe, in una risoluzione del 17 novembre 1988 ha dichiarato che “la minaccia all’esistenza dei Kurdi iracheni mette l’umanità di fronte a un obbligo morale, a cui non può sottrarsi”14. L’obbligo di non sterminare un popolo, una minoranza etnica o religiosa è di per sé un principio giuridico ben definito, anzi tale azione è considerata un crimine di diritto intemazionale. Per la stessa questione il Congresso degli usa il 13 settembre 1988 ha approvato il Prevention to Genocide Act of 1988 dove si precisava che “l’azione del governo iracheno contro i Kurdi costituisce un atto di genocidio bandito dal diritto intemazionale, e aborrito da tutti i popoli civili'^5. Tuttavia la comunità intemazionale non ha fatto proprio nulla per alleviare le sofferenze dei Kurdi, né I’onu né le sue agenzie specializzate hanno voluto intervenire presso lo Stato iracheno benché, esistessero tutti gli estremi giuridico-morali. I paesi dell’Europa occidentale avevano chiesto al sg dell’ONU di intraprendere “un’iniziativa personale” per verificare l’uso di armi chimiche; egli ha nominato una “commissione di inchiesta” da inviare nei territori kurdi in Iraq16. Quest’ultimo Stato, pur avendo firmato il “protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925” sul divieto di armi chimiche, con il pretesto “d’ingerenza negli affari interni” non ha permesso alla commissione di recarsi sul luogo17.

L’iniziativa dei paesi europei era motivata con il principio umano di alleviare la sofferenza della popolazione civile vittima di armi chimiche. Tale iniziativa era stata sollevata (grazie alle tv che hanno portato nel mondo le immagini drammatiche) per condannare un fatto che il protocollo di Ginevra definisce come “ripugnante per la coscienza dell’umanità”18.

All’indomani della guerra del golfo (17 gennaio-28 febbraio 1991), in relazione al dramma dei Kurdi iracheni si è di nuovo parlato di principio morale per poter intervenire all’interno di un paese. Ancora il pe, il 18 aprile 1991, ha ribadito per primo “il dovere morale delle un di andare al di là della mera preservazione dei confini nazionali e di mettere a punto dei mezzi per impedire ai regimi totalitari di commettere atti di genocidio, se necessario anche modificando la Carta dell’ONU”19. Alcuni giorni dopo il SG, Perez de Cuellar, in relazione all’operazione provide comfort, aveva dichiarato che “nous sommes probablement parvenus à un stade d’évolution morale et psychologique de la civilisation occidentale où la violation massive et delibérée des droits de l’homme n’est plus tolérée”20. Anche il nuovo sg, Boutros Boutros Ghali, nella sua Agenda per la pace ha scritto che: “È possibile distinguere una percezione morale comune sempre più diffusa che abbraccia le nazioni e i popoli del mondo, e che sta trovando la sua espressione nelle regole del diritto intemazionale, molte delle quali devono la loro genesi al lavoro di questa Organizzazione [I’onu]”21. Bernard Kouchner, precursore dell’“ingeren-za umanitaria”, ha scritto che “le droit d’ingérence, comme un retour morale imposé dans le remords de la guerre du Golf, a trouvé chez les Kurdes du nord de l’Irak sa permière application officielle”22.

Ancora, il Papa, Giovanni Paolo n, in un discorso alla conferenza della fao a Roma del 5 dicembre 1992, ha finalmente dichiarato che “la coscienza ...

1. Oltre alla cdh, vi sono una decina di vari “comitati” sui diritti umani, contro la tortura, per i diritti delle donne, per i diritti dei bambini, contro la discriminazione razziale, ecc., che sono costituiti nell’ambito di numerosi “patti o convenzioni” intemazionali concernenti i diritti umani; i membri di tali comitati, spesso, sono di nomina governativa, il loro potere è limitato e la loro attività è confidenziale.

2. Per uno studio approfondito sul volontariato si veda: Marco Mascia, L'associazionismo
intemazionale di promozione umana, Padova, cedam. Attualmente [1995] 1.020 ong hanno lo status consultivo presso I’onu e svolgono un ruolo di grande utilità nel campo dei diritti umani, delle operazioni di peace-keeping, della cooperazione allo sviluppo.
3. Per esempio si parla di: “diritto di assistenza”, “intervento umanitario”, “diritto di ingerenza
umanitaria”, “legittimo intervento umanitario”, “dovere d’ingerenza umanitaria”.

4. Boutros Boutros Ghali (Segretario Generale dell’oNU), Agenda per la pace: diplomazia preventiva, pacificazione e mantenimento della Pace, Roma, Centro d’informazione dell’oNU, 1992, p. 4.
5. Ivi, p. 16
6. cuce, n. C 128 del 9.5.1994, pp. 225-227.

7. Invece la condizione dei Kurdi della Turchia si è deteriorata per l’intensificarsi delle operazioni militari fra il governo di Ankara e la resistenza kurda in questo paese.
8. È significativo che il cds nell'approvare la risoluzione 688 si è richiamato proprio all’art. 2 § 7.
9. a/res. 2625 (xxv), 24.10.1970

10. nres. 36/103, 9.12.1981, Declaration on thè inamissibility of intervention and in-terference in thè internai affairs of States.
11. Vedi gli artt. 1 e 55 della Carta dell’oNu.
12. L’art. 6 della Carta dell’oNu dice: “Un Membro delle un che abbia persistentemente violato i principi enunciati nel presente Statuto può essere espulso dall’Organizzazione da parte dell’AG su proposta del cds”.

13. Giuseppe Sperduti in 11 dominio riservato (Milano, 1970, pp. 33-34) parla di “principi dell’etica sociale intemazionale positivamente riconosciuti”.
14. cuce, n. C. 32 del 19.12.1988, p. 208.
15. Il testo dell’Atto è allegato al Chìmical weapons use in Kurdistan: Iraq’s final offensive. The Report of thè Senate Committee on Foreign Relations (by W. Galbraith), 21 sept. 1988, Washington D.C.

16. Dixpays demandent l’envoi d’une mission d’enquéte au Kurdistan irakien, in «Le Monde», 15.9.1988. Anche i giornali italiani e europei (settembre 1988) hanno riportato molte notizie sull’uso di armi chimiche in Kurdistan
17. Iraq suggests gas use: Is govemment right, in «Herald International Tribune», 16.9.1988; cfr. Iraq, gas contro i Curdi: no all’inchiesta dell’oNU, in «il Manifesto», 15.9.1988.
18. Il testo del protocollo è in Pietro Verri, Diritto per la Pace e diritto nella guerra, Roma, 1980, Doc. 24, p. 147.

19. Cuce, n. C 129, 20.5.1991, pp. 141-142.
20. UN, comuniqué de presse, sg/sm/1200, 22 avril 1991, cit. in Oliver Corten e Pierre Kleiei, Devoir d’ingérence ou droit de réaction armée collective?, in «rtdh», 1992, p. 479, n. 32.
21. Boutros Boutros Ghali, Agenda per la pace, cit., p. 5.
22. Bernard Kouchner, Le malheur des autres, Paris, Odile, 1991, pp. 229-230

 




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