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Il castello di Dimdim: Epopea curda


Auteur : Erebê Şemo
Éditeur : Aiep Editore Date & Lieu : 1999, San Marino
Préface : Pages : 240
Traduction : ISBN : 88-86051-68-9
Langue : ItalienFormat : 125 x 210 mm
Code FIKP : Liv. Ita. Sha. Cas. N° 7227Thème : Littérature

Il castello di Dimdim: Epopea curda

Il castello di Dimdim: Epopea curda

Ereb Shamilov

Aiep Editore

Un romanziere curdo del primo novecento dà voce ad alcune antiche leggende della sua terra d’origine. E questo ritorno al passato (la vicenda di Khano Lapzerin narra di un eroe del secolo XVII) lo induce a una duplice avventura letteraria: quella di celebrare una figura esemplare della tradizione curda e insieme di rispecchiare, nella forza sacrale del mito, la tragedia del presente.
“11 castello di Dimdim" è un grande racconto d'amore e di guerra: la disperata resistenza della città-castello, le aggressioni di turchi e persiani si intrecciano con la tenerezza di sentimenti semplici e profondi, come l’amore che unisce Dulbar e Shabab.
Il lettore ritrova il fascino arcaico che emana dai canti della tradizione orale e insieme l’emozione di scoprire il presente di un popolo attraverso storie di un passato tragicamente attuale.

La vita di Ereb Shamilov, considerato il più grande prosatore curdo, è simbolo della diaspora secolare del suo pòpolo. Nato nel 1895 nei pressi di Kars, città in quel tempo sotto il dominio della Russia zarista (annessa in seguito alla Turchia), a soli ventidue anni fu incarcerato per molti mesi nel nord del Caucaso. Intorno al 1920 si trasferì nella città di Erevan, capitale. dell'Armenia. Costretto nel ‘37 aU’esilio, trascorse venti anni in Siberia. Visse fino al 1978, pubblicando numerosi romanzi e testi teatrali mentre collaborava a giornali e riviste.
Sono soprattutto famose, fra le sue opere, “Il pastore curdo” e “Il castello di Dimdim”. La storia stessa di questo romanzo è “segno” di un tragico nomadismo fedele alle proprie radici: scritto in lingua russa, poi tradotto dall’autore in curdo nell'alfabeto latino, infine trasferito in caratteri arabi da Shuker Mustafà per l'Accademia curda di Baghdad.





INTRODUZIONE

In primavera un amore spontaneo e naturale, sboc-ciato sorprendentemente in un frutteto nascosto tra aspre boscaglie impenetrabili, riesce a schiudere urf luogo fantastico e remoto come il castello di Dimdim. Infatti, questi misteriosi territori dell’anima sono sepolti dentro ognuno di noi. Sono il ricordo di una fiaba d’oriente ascoltata con stupore da bambini e poi da adulti dimenticata, lungo un sentiero smarrito nella foresta. Sono la ferita sanguinante di un Eden perduto.

Ma ecco che ora lo scenario riappare favoloso e terso come un diamante, brulicante di vita come un alveare, lacerante come un pugnale dall’impugnatura d’avorio.

Nelle giornate di sole gli anziani dalla barba bianca, seduti sotto gli alberi bevendo il caffè, narrano che in un tempo lontano un cristiano avesse fondato sopra ancor più antichi resti archeologici, nel Kurdistan vicino al grande lago di Urmia, il castello di Dimdim. Identico alla chiesa costruita da suo padre nella valle di Van, che aveva resistito agli assalti dei turchi.

Dimdim non è un mero palazzo, bensì una città popolata, molto larga e lunga, simile al nido del falco aggrappato ad una montagna dalle alte vette coperte di neve, con lupi, orsi ed altri animali. Due strade portano dalla valle al castello, gremite di contadini e nomadi curdi sereni e felici per essere sopravvissuti al freddo invernale. Un via vai di carovane tintinnanti di campanelli arriva a Dimdim con mercanzie da ogni parte del mondo: dall’India, dall’Afghanistan, da Shamo e Aleppo, da Istanbul, dalla Persia. Sotto il castello passa a grande velocità, scrosciando rumorosamente come un orso, un fiume pieno di pesci colorati le cui acque vorticose si trascinano dietro nel loro percorso anche le pietre più grosse.

In questo paesaggio fiabesco si svolge la leggenda di Dimdim: un’epopea eroica a sfondo storico che narra le guerre combattute all’inizio del XVII secolo da Khano Lapzerin (“dal braccio d'oro”), governatore curdo del castello, contro il re dei turchi e lo scià di Persia. I due tiranni, brutali e crudeli, vogliono distruggere Dimdim, per potersi impadronire del Kurdistan e spartirselo come una preda, approfittando dei conflitti tra le tribù curde.

Invece Khano Lapzerin, uomo alto e robusto della tribù di Brodar, di religione sunnita, padre di sei figli, un capo dotato di grande carisma - “quando cammina sembra che la terra si sciolga sotto i suoi piedi” - manda aiuti militari ad ogni tribù aggredita dai persiani o dai turchi, nemici storici dei curdi. Ma soprattutto Khano trasforma il castello di Dimdim nel baluardo del Kurdistan.

Implacabile contro le spie e i traditori (mullàh, darwishi) infiltrati dai nemici per fare del male al suo “nido”, Khano è invece generosissimo con intellettuali, fuggitivi e perseguitati che vi cercano rifugio. E con i giovani dei villaggi che vogliono addestrarsi al combattimento per difendersi e difendere la patria, abbandonando i loro secolari contrasti tribali, perché Khano sostiene che i curdi contro i tiranni devono essere uniti.

Dunque la trama storica sulla quale si intesse l’epopea di Dimdim, che in modo vivace e immediato ci trasporta, come su un tappeto volante, dentro i colori e i suoni, la vita e le relazioni, i sapori e la natura circostante, la fragilità e la forza, parole e sentimenti, memoria e attese, morte e vita del popolo, è la lotta di resistenza. Resistenza millenaria contro gli stratagemmi e le aggressioni di nemici astuti e soverchianti. Lotta che arriva fino ad oggi ed è la sostanza della nazione del Kurdistan.

Si tratta di un’esperienza storica vitale, comune df tanti popoli del mondo nel tempo e nello spazio. Dall’assedio della città di Troia da parte degli Achei cantato da Omero alla difesa dell’ultima repubblica di Siena contro lo strapotere imperiale narrata dagli storici rinascimentali, dalla resistenza antinazista in Europa durante la II guerra mondiale alle lotte anticoloniali di tante popolazioni sfruttate e oppresse del mondo fino allo sforzo, al limite dell’impossibile, per sopravvivere giorno dopo giorno, fatto da gran parte dell’umanità povera (soprattutto donne, bambini, vecchi, malati) adesso: in tutti questi esempi troviamo un archetipo eroico come quello dell’epopea del castello di Dimdim.

Perciò ringrazio con sincera riconoscenza l’amico fraterno Shorsh Surme, esule curdo da tanti anni in Italia che con questo libro offre in dono ai lettori italiani la prima traduzione nella nostra lingua dell’epopea di Dimdim. Questo gioiello letterario arricchisce il patrimonio culturale dell’umanità e al tempo stesso rappresenta una magica sintesi della millenaria storia del Kurdistan, dolorosa ed eroica, ieri come oggi.
Perché niente è cambiato in quelle terre ingiustamente martoriate. Perché anche oggi, anche in questo preciso momento un guerrigliero sta combattendo per proteggere una bambina dai bellissimi occhi neri dalla violenza di uomini brutali e tenebrosi.

Perché oggi, in questo momento, un uomo coraggioso, onesto e saggio sta lottando per salvare la sua patria da predatori mostruosi che, dopo averla smembrata, vogliono divorarla e distruggerla completamente.

Lo posso testimoniare in buona fede, ricordando il viaggio in Kurdistan fatto nel 1992, subito dopo la guerra del Golfo. Ad Arbil sono stata ospite di una generosa famiglia. Ricordo la madre Kadigia per me sempre viva, in realtà stroncata dal crepacuore quando si riaccesero le lotte tra le fazioni, per colpa dell’inerzia dell’Europa nel sostenere la democrazia e il parlamento della regione curda, nati sotto la protezione del- l’ONU. E poi ricordo Nazhad, il figlio maggiore, scrittore, giornalista, poeta versatile e sensibile, dal volto scavato dalla sofferenza ma dagli occhi lucidi come due stelle. Ricordo tutti i membri della famiglia: Hajar, sapiente nella legge e buono, Rizgar il ragazzo strappato dai banchi di scuola e mandato al fronte nelle buche del deserto, migliaia di chilometri lontano da casa, sotto i colpi delle superbombe straniere o fucilato co-me disertore se tentava la fuga.

Ricordo tutte le donne, ad una ad una: Shaira, moglie di Nazhad, dal volto delicato e bello come una Penelope, e poi Hetaw (Sole) e Aktar (Attrice), Ajin (Vivremo) e Rejin che significa “Colei che indica la strada della vita”. E in particolare ricordo Midia, la piccola Medea, allora bambina minuta e forte come la nonna, oggi certamente ragazza grande e bella come un cespuglio di rose. Nell’epopea di Khano dal braccio d’oro”, col suo castello di Dimdim rivedo quei volti indimenticabili.

La storia di Dimdim, raccontata oralmente dai genitori ai figli per secoli e secoli, è stata scritta negli anni f sessanta in lingua russa da Ereb Shamilov, il più grande prosatore curdo, che ne ha fatto anche una versione in lingua curda, usando l’alfabeto latino.

Shorsh Surme, traducendo l’opera in italiano, ci rivela l’anima del suo popolo e getta un ponte di comprensione, come un arcobaleno altissimo, sopra gli abissi e le tenebre che separano due mondi.

Infatti, pur separati e lontani da loro, possiamo comunque percepire l’archetipo eroico dell’epopea di Dimdim e assimilarlo ad un percorso iniziatico dell’interiorità, per individuare e respingere oscure potenze manipolatrici, corruttrici e distruttive che agiscono fuori e dentro noi stessi. Possiamo non farci derubare del nostro inestimabile tesoro interiore.

Il principe “dal braccio d’oro” chiama a sé dalle valli e dai monti sia gli uomini che le donne, li istruisce, li addestra, li rende capaci di resistere, forti nel difendere gli oppressi e i violati. Ci chiama a sé, ci rende forti e capaci di resistere, nella nostra parte dell’anima oppressa e violata.
Il coraggio, l’onestà, la saggezza di Khano Lapzerin sono indispensabili «quando arriva il giorno degli uomini coraggiosi». Il momento della verità arriva, prima o poi, per ciascun essere umano. Per taluni arriva forse ogni giorno.

Ecco che allora Khano, dai lunghi baffi rossi come un felino, ricoperto di una pelle marrone come un cavallo di razza, ci mostra come resistere. I cavalli di razza curda, racconta il suo poema, non hanno la pancia, sembrano denutriti e invece percorrono qualsiasi tipo di strada, dai sentieri scivolosi delle montagne ai sentieri di ghiaia delle valli o delle colline. Nemmeno la veloce gazzella riesce a raggiungerli e hanno molto rispetto per il loro cavaliere. Il loro valore non ha prezzo.

Con saggia previdenza Khano Lapzerin ordina al muratore Nadir di costruire quattro alte torri ai lati del castello di Dimdim, per avvistare i nemici da lontano. In una caverna segreta l’esperto Kocio, di religione cristiana, fabbrica per lui più grandi cannoni. Scegliendo ufficiali esperti nell’arte militare, Khano cura con particolare attenzione l'arruolamento e 1 addestramento alle armi dei giovani del castello e dei villaggi vicini. Ad essi dona i suoi destrieri e, facendoli cavalieri, ricorda loro che: «il bravo soldato sta sempre in prima linea e deve essere in grado di portare il cavallo dove vuole».

Ascoltare il racconto di Dimdim per i giovani curdi analfabeti dei secoli andati era imparare un vero e proprio manuale di arte della guerra, trasformato in uno splendido romanzo. Infatti il vivace folklore dell epopea si inserisce in una struttura narrativa classica di rinnovata eleganza. Il messaggio culturale è infine sorprendente, producendo arcaiche profondità fiammeg gianti di sapienza e pace.
In realtà l’epopea di Dimdim è soprattutto una bellissima storia sull’amore.

Un amore uguale al cespuglio di rose che affonda le radici vitali nella terra nera, trova le strade giuste verso i raggi del sole, alimenta col suo profumo freschi sentimenti di felicità che fanno vivere liberi.

Nel castello di Dimdim vive infatti la rosa spirituale dell’uomo carismatico, la protagonista dell’epopea. Si chiama Dulbar, dai bellissimi occhi neri, alta, snella, con la faccia tonda come la luna e un neo sulla guancia sinistra. Dotata di una luminosità tutta sua, Dulbar, con il suo modo dolce ed elegante di parlare simile al canto di una colomba, sembra una creatura d’un altro mondo.

Ornata e pettinata con collane di pietre preziose colorate sul petto, cinture e anelli dorati, e ventiquattro lunghe trecce sulla schiena tutte ricoperte di lustrini e piccoli talismani coranici, Dulbar è sempre intent nelle occupazioni femminili tradizionali; tesse splendidi tappeti con disegni di gazzelle volanti, munge le pecore insieme ai pastori, attinge acqua alla sorgente, cucina pranzi gustosi per gli ospiti, partecipa ai lavori collettivi tra le donne della famiglia, alle feste gioiose con riti, musiche e danze. Colpisce il suo incanto: 1 innocenza scherzosa, il fresco calore, la generosa e fiera dignità di se stessa.

«Tu non sei onesto, non sarò mai tua preda. Vattene dalle prede che ti stanno aspettando a casa». Con queste parole Dulbar, vincendo la ritrosia, respinge il viscido e ottuso Kurshid, guardiano del mercato del castello che, pur avendo già tre mogli secondo l’usanza musulmana, si è perdutamente innamorato di lei e vuole convincerla a sposarlo con ricchi doni o usando la forza. Ma Dulbar dimostra subito una completa padronanza del proprio destino, tanto che la sua integrità e forza interiore procedono, nel corso del racconto epico, di pari passo con le vittorie militari di Khano.

In realtà Khano e Dulbar sono due facce del medesimo talismano d’eroismo e d’amore, fino alla catarsi finale che sigilla, come una croce, la verità di tutto il racconto.

Anche Sayffadin, il figlio prediletto di Khano, si è invaghito della giovane donna che porta fortuna nelle case in cui entra, ma il prestigioso padre non fa nulla contro l’amore di Dulbar per Shabab, figlio di Adi, del¬la stessa tribù dei genitori di lei. Anzi, Khano Lapzerin accoglie Shabab come un figlio tra le sue braccia e lo sceglie per compiere imprese gloriose.

I giuramenti che i due innamorati si sono scambiati sotto gli alberi dei frutteti sono il tesoro più prezioso nel castello di Dimdim.

Il rutilante mercato con tutti i suoi doni allettanti non attira Dulbar. Lei resta indifferente anche ad ogni prestigio esteriore. Con il cuore è vicina alle donne guerriere che su sentieri di montagne, così belle da sembrare decorate d’oro e d’argento, affrontano i tiranni sotto la guida delle loro comandanti. Le minacce dei nemici non le spaventano perché sono pronte all’estremo sacrificio pur di difendere il loro amore, naturale e spontaneo, insieme alla vita nel castello di Dimdim.

Neppure la perfidia, la cupidigia e la violenza vittoriose possono toccare Dulbar, perché lei risplende di una cosa sacra: l’amore.

Maria Ludovica Lenzi
Docente di Storia
Università degli studi di Siena

Note del Traduttore

In Kurdistan per molti secoli la letteratura scritta è stata accessibile solo agli abitanti delle città, mentre la maggior parte dei contadini e dei pastori era analfabeta e tramandava di generazione in generazione le proprie storie e i propri canti.

Nel periodo nomade le tribù curde contribuirono alla nascita drnrrtesbfo letterario di grande valore, costituito soprattutto da poesie, racconti e proverbi. Grazie infatti alle migrazioni i curdi vennero in contatto con arabi, persiani, turchi, armeni, georgiani, che disponevano di una ricca tradizione orale. Esistevano narratori di professione, Dangbèj e (jirokbèj, cantori senza accompagnamento musicale, 'Ashuqi che cantavano accompagnati da un sàz o da un altro strumento a corda, in grado di recitare a memoria lunghi racconti. Le poesie, che esaltano le vittorie di eroi popolari, si tramandarono grazie alle scuole private di canto e così la letteratura orale divenne il fondamento delle prime opere scritte.

A partire dal diciannovesimo secolo gli studiosi esperti delle lingue iraniane pubblicarono molti testi della letteratura curda e gli stessi curdi, soprattutto dalla prima guerra mondiale, cominciarono a catalogare il loro patrimonio letterario. Oggi la lingua parlata è spesso arricchita di proverbi, modi di dire, indovinelli e domande che ci trasmettono le esperienze di vita degli antenati e le integrano nella cultura del presente.

Una delle forme letterie popolari più amate in Kurdistan ...


Ereb Shamilov

Il castello di Dimdim
Epopea curda

Aiep Editore

Aiep Editore
Narrativa dai Paesi del Sud
Il castello di Dimdim
Epopea curda
Ereb Shamilov

Melting pot
Storie dell’altro mondo

Collana a cura di
Eleonora Forlani

Prima edizione in lingua curda e alfabeto arabo, Baghdad 1975
Titolo originale: Dastani Kelai Dimdim
a cura di: Accachjjnia curda di Baghdad

Per l’redizione italiana:

© Copyright 1999 by
AIEP EDITORE s.n.c.
Via Gino Giacomini, 86/a - 47890
Repubblica di San Marino
tel. 0549/992389 - 992590 fax 990398

ISBN 88-86051-68-9
Prima edizione: 1999

Tutti i diritti-riservati

Progètto grafico: G.D.G.
Repubblica di San Marino

Il disegno di copertina è tratto da
un'incisione di Ve. E. Soriakov

Traduzione di
Shorsh A. Surme

Questo volume è stato realizzato
in collaborazione con COSPE
(Firenze / Bologna) progetto "I Cieli"
con il contributo del
Ministero per gli Affari Esteri
della Repubblica Italiana

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