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Arte Persiana Parti e Sassanidi


Éditeur : Rizzoli Editore Date & Lieu : 1982, Milano
Préface : Pages : 410
Traduction : ISBN :
Langue : ItalienFormat : 150 x 195 mm
Code FIKP : Liv. Ita. Ghi. Art. N° 6630Thème : Général

Arte Persiana Parti e Sassanidi

Arte Persiana Parti e Sassanidi

Roman Ghirshman

Rizzoli

L'ondata di ellenismo seguita alle conquiste di Alessandro il Grande invade l'Asia anteriore fino all'India: per quasi due secoli l'Iran rimane sotto la dominazione straniera che vi lascerà un'impronta profonda, ma non determinante. Durante il regno dei Seleucidi l'arte achemenide non è morta e ciò che viene accettato dell'estetica greca non è compreso né assimilato, ma sovrapposto. Quando i Parti Arsacidi riconquistano l'Iran si assiste a un mutamento profondo, perché nella reazione all'Occidente i nuovi signori, nomadi provenienti dalle steppe dell'est, fanno appello alle vecchie tradizioni dell'arte iranica. La produzione artistica partica, nota specialmente attraverso i monumenti venuti alla luce a Paimira, Dura, Hatra, Nisa, costituisce il punto di unione tra l'arte degli Achemenidi e l'arte dei Sassanidi e ha caratteristiche sue proprie — di cui la più importante è la frontalità in scultura e in pittura — che daranno vita a una koiné orientale, estesa dall'Eufrate alla Cina, dalla Siberia all'India, dalla Mongolia al Bosforo. Quando il trono dell'Iran passa alla dinastia sassanide le radici della vecchia cultura irano-orientale sono salvaguardate, senza per questo che gli apporti esterni vengano respinti. L'arte sassanide, di cui l'IsIam è il vero erede, sopravvive largamente al proprio tempo grazie alla diffusa penetrazione che, in Oriente come in Occidente, ebbero i suoi temi, le sue convenzioni compositive, i suoi elementi architettonici.

Roman Ghirshman, archeologo, esploratore e storico, nato nel 1895 e deceduto nel 1979, studiò alla Sorbona, all'École dés Hautes Études e all'École du Louvre. La sua prima esperienza di archeologo risale al 1930 con la spedizione francese a Tello, nell'lrak. L'anno successivo fu nominato capo di una spedizione in Iran, dirigendo scavi a Giyan, nel Luristan, ad Assadabad e a Sialk. Nel 1935 avviò le ricerche sul luogo dove sorgeva Bishapur, città sassanide fondata nel III secolo d.C. Nel 1936 prese parte alla prima spedizione archeologica nell'Afghanistan. Nel 1941 fu nominato capo della missione archeologica francese in Afghanistan. Dopo la guerra ricevette dal governo francese l'incarico di compiere due spedizioni archeologiche nell'Iran. Nel 1949 percorse in carovana le montagne dei Bakhtiari e, per la prima volta in Iran, praticò scavi in una grotta abitata in epoca neolitica. A partire dal 1946 lavorò a Susa e diresse una importante serie di campagne di scavi a Choga Zanbil; inoltre condusse scavi nell'isola di Kharg, nel Golfo Persico.
Autore di numerosi studi di archeologia, storia, epigrafia e numismatica dell'Iran e dell'Afghanistan, fu insignito del premio dell'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, e fu membro corrispondente dell'lstitut de France, professore all'Università di Aix-en-Provence, dottore honoris causa dell'Università di Teheran.


Indice

1 / Introduzione

Prima parte

15 / Capitolo I
L’arte partica

119 / Capitolo II
L’arte sassanide: architettura e decorazione monumentale, monumenti rupestri

203 / Capitolo III
L’arte sassanide: arti suntuarie

Seconda parte

257 / Capitolo IV
I Parti e la "koiné” orientale

283 / Capitolo V
L’arte sassanide e la sua espansione

Terza parte

345 / Indice analitico
363 / Bibliografia
401 / Documentazione archeologica relativa alle opere riprodotte
283 / Carte geografiche


INTRODUZIONE

La rivelazione di un’arte partica, distinta dall’arte sassanide, è recente. Da cinquant’anni, lo sviluppo degli studi sull’antichità invita a rivedere le opinioni tradizionali, che consideravano il mondo partico marginale al mondo romano. E nella nuova prospettiva viene valorizzata, all’alba della nostra era, l’arte grecoiranica, nel vasto Oriente non mediterraneo ellenizzato, un tempo, dai Seleucidi e dai Battriani.
Le scoperte di Dura Europos (dal 1921 in poi) diedero la possibilità di precisare filiazioni rivelatrici di un’arte diffusa nella steppa siro-mesopotamica, nella Babilonia e nelle regioni ai limiti occidentali dell’altopiano iranico. È questa l’arte che, giunta alla piena espressione a Paimira, a Dura Europos, a Hatra, Michele Rostovzev chiamò “partica” Analizzandone i caratteri, egli pose in evidenza i suoi tratti originali, dei quali la convenzione della frontalità gli parve il più interessante. Indagò anche sui vari modi più o meno originali in cui questa formula veniva applicata : e, ricercandone le origini le reperi presso i nomadi iranici della steppa del Caspio. I Parti, essendosi sovente spostati dall’una all’altra di queste regioni, avrebbero diffuso' la norma della rappresentazione plastica frontale nei paesi sottoposti alla loro influenza.

La rivelazione di un’arte partica, distinta dall’arte sassanide, è recente. Da cinquant’anni, lo sviluppo degli studi sull’antichità invita a rivedere le opinioni tradizionali, che consideravano il mondo partico marginale al mondo romano. E nella nuova prospettiva viene valorizzata, all’alba della nostra era, l’arte grecoiranica, nel vasto Oriente non mediterraneo ellenizzato, un tempo, dai Seleucidi e dai Battriani.
Le scoperte di Dura Europos (dal 1921 in poi) diedero la possibilità di precisare filiazioni rivelatrici di un’arte diffusa nella steppa siro-mesopotamica, nella Babilonia e nelle regioni ai limiti occidentali dell’altopiano iranico. È questa l’arte che, giunta alla piena espressione a Paimira, a Dura Europos, a Hatra, Michele Rostovzev chiamò “partica.” Analizzandone i caratteri, egli pose in evidenza i suoi tratti originali, dei quali la convenzione della frontalità gli parve il più interessante. Indagò anche sui vari modi più o meno originali in cui questa formula veniva applicata : e, ricercandone le origini le reperi presso i nomadi iranici della steppa del Caspio. I Parti, essendosi sovente spostati dall’una all’altra di queste regioni, avrebbero diffuso' la norma della rappresentazione plastica frontale nei paesi sottoposti alla loro influenza.

LatesidiRostovzev fu discussa. L’opera di Ernest Will sul Rilievo cultuale greco-romano (1955) riprende il dibattito e lo prosegue. Secondo questo studioso, la sostituzione della visione frontale dal profilo nel rilievo, anche in quello narrativo, non sarebbe un’innovazione partica. Egli l’attribuisce all’attiva influenza dell’arte greca in tutta la zona mediterranea. Ma si può ammettere che il trionfo della frontalità nelle città semitiche dominate dalla cultura partica coincida con l’arrivo delle legioni romane?

Qui interviene la prospettiva nuova che un certo numero di archeologi di vari paesi cerca, da una sessantina d’anni di imporre. Quando Strzygowski dimostrò l’importanza, per determinare le origini dell’arte paleocristana, di ammettere l’esistenza di una cultura Capita, Mitreo. Mithra lauroctono. Capita, Museo orientale indigena che non dipendesse in nulla dall’arte romana, il problema era Orient oder Rom? (1901). Oggi, alla luce che gettano sull’archeologia gli studi compiuti da E. Will, da H. Seyrig, da D. Schlumberger e da altri ancora, e per un’epoca più alta, la domanda a cui si deve rispondere c “ Oriente 0 Grecia.” Se la risposta è Grecia, non si può ignorare che il mondo greco, nell’epoca ellenistica, non era confinato ai limiti del futuro mondo romano.

L’immenso interesse del saggio di Daniel Schlumberger Discendenti non mediterranei dell’arte greca (i960), consiste nell’avere opposto all’arte greco-romana l’arte di un Oriente greco-iranico o iranizzato, che si estendeva dalla foce dell’Eufrate (monumenti di Antioco I di Commagene, metà del I secolo a.C.) alla pianura del Gange (monumenti di Kaniska, principio (?) del II secolo d.C.). In questo campo vastissimo, alle analogie esistenti fra l’arte partica e l’arte kuşàna si aggiungono quelle che riallacciano ai monumenti dell arte greco-buddistica certi monumentitcorientalizzanti” dell’impero romano, e particolarmente quelli di soggetto mitriaco. Sarebbe troppo lungo seguire punto per punto questo studio comparato ; ci limiteremo a indicare l’idea fondamentale sulla quale procede.

È l’idea dell’esistenza di un’arte greco-iranica da cui deriverebbero l’arte partica e l’arte kusàna nelle loro diverse forme regionali, battriana, gandhàrica e di Mathura. Tuttavia, pur nelle analogie che legano, su questa radice comune l’arte partica e l’arte falsarla, esistono differenze, la portata delle quali non deve essere minimizzata. Alcune sono naturali, null’altro che il riflesso della differenza di ambiente, ma le più importanti finiscono col dimostrare che il mondo kusàna era più profondamente ellenizzato che il mondo partico. Nella scultura gandharica in particolare, le scene narrative impostate su un voluto effetto illusionistico, un’interpretazione più comprensiva delle forme greche e una applicazione meno rigorosa della frontalità ne sono la prova.

Data la situazione geografica della arte kusana, che fioriva assai lontano, a est, dall’arte partica, e quindi a una distanza enorme dal Mediterraneo, lo stile ellenizzante delle opere prodotte ai confini indo-iranici ha stimolato gli studiosi intenti alla ricerca delle origini. Un intero gruppo di studiosi anglo-sassoni (B. Rowland, H. Buchthal, A. Soper, Sir Mortimer Wheeler) lo considera un ramo greco-romano là triapantato in seguito all’intensificarsi degli scambi commerciali. Esso sarebbe frutto della corrente di attività che, attraverso il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, allacciava, in età imperiale, il Mediterraneo all’India e, attraverso l’India, all’Afghanistan. Certo, questa tesi “romano-buddistica ” segna un progresso sulla tesi “ greco-buddistica ” di Foucher, che riteneva l’arte del Gandhara un ramo staccato dell’arte ellenistica, respinto al sud dello Hindu Kushdalle orde nomadi.

Gli scavi di Surkh Rotai, compiuti dal 1952 in poi dalla Delegazione Archeologica Francese diretta da D. Schlumberger, offrono altri elementi di giudizio. Riportando in luce le vestigia di un santuario dei Grandi Kusana, hanno rivelato resistenza nella Battriana di un’arte dinastica con forti impronte ellenistiche, e tributaria, a un tempo, dell’antico Iran degli Achemenidi e del nuovo Iran dei Parti. La scoperta di quest’arte “greco-iranica” al nord dell’Hindu Kush è un punto fermo negli studi, perché pone di nuovo sul tappeto la questione delle origini dell’arte del Gandhara in cui si ritrovano le medesime componenti con in più soltanto un elemento indiano.

Due ipotesi si propongono attualmente agli storici: 1 una situerebbe i monumenti di Surkh Rotai nel raggio di diffusione dell’arte del Gandhara; l’altra li considererebbe discendenti dell’arte perduta della Battriana greca. Ancora una volta, il rinnovarsi dell’archeologia invita a immaginare una Battriana, che con¬trariamente all’opinione dei “ greco-buddistici e dei romano-buddistici, non sarebbe più un mito, ma uno dei rami inesplorati dell’ellenismo nell’Asia centrale. Un indirizzo non trascurabile, d’altronde, è l’origine battriana dell’al¬fabeto greco dei Kusana, le cui iscrizioni trovate a Surkh Rotai offrono un’altra prova del suo impiego. Non ci si stupirà, dunque, di vedere D. Schlumberger proporre, come fonte principale dell’ellenicità nei monumenti di Surkh Rotai, la “civiltà battrìana,” nata sulle terre dell’Iran orientale dopo la conquista di Ales-sandro e fiorita nel III e nel II secolo a.G. Orienteremo verso la stessa civiltà le nostre ricerche anche quando affronteremo il problema della nascita dell’arte partica nella regione di Nisa, nel Turkmenistan, recentemente esplorata da una missione sovietica. Infine, se si ammette che lo stile ellenistico dei monumenti di Surkh Kotal sia un derivato dell’arte greco-battriana, è l’arte greco-iranica dei Grandi Ku§apa a rivelarsi come l’intermediaria originale fra l’arte detta grecobuddistica e le sue fonti ellenistiche.

Un’altra conseguenza degli scavi di Surkh Kotal è l’analogia apparsa eviden¬te fra la grande scultura dell’acropoli kusana e le statue scitiche del santuario di Mat presso Mathura. Nell’arte partica si trova qualche elemento di affinità con questa scultura. D’altronde, certe particolarità, specialmente nel modo di trat¬tenere le pieghe del panneggio, si manifestano nelle figure del Gandhara. E di nuovo, l’azione dell’arte greco-iranica della Battrìana è incontestabile: la misu¬ra e l’intensità degli elementi che la compongono variano, s’intende, secondo la resistenza delle tradizioni artistiche ambientali, e secondo la forza dell’influenza greco-romana; però, nonostante le sue inflessioni e le sue sfumature, essa defini¬sce nettamente uno stile in quella vasta koiné che si estende dall’Oxus al Gange.

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Roman Ghirshman

Arte Persiana Parti e Sassanidi

Rizzoli

Rizzoli Editorê
Arte Persiana Parti e Sassanidi
Roman Ghirshman

Il mondo
della figura

Collezione diretta da
André Malraux e
Georges Salles

Titolo dell’opera originale
Iran-Parthes et Sassanides
(© 1962 by Librairie Gallimard, Paris)

Traduzione dal francese di
Giulia Veronesi

Frontespizio: Arte greco-iranica, Re Antioco (part.).
Nimrud Dagb, Tomba di Antioco I.

Prima edizione italiana nella collana ’Tl Mondo della Figura”: novembre 1962
Prima edizione reprint: marzo 1962

Copyright by © Rizzoli Editore
Milano

Finito di stampare nel mese di maggio 1982 dalla
Rizzoli Editore - Via A. Rizzoli 2 - 20132 Milano
Printed in Italy



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