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Il popolo kurdo e il diritto all’autodeterminazione


Auteur :
Éditeur : ECP Date & Lieu : 1997, Fiesole
Préface : Pages : 158
Traduction : ISBN : 88-87183-00-7
Langue : ItalienFormat : 130x210 mm
Code FIKP : Liv. Ita. Dar. Pop N°4480Thème : Général

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Il popolo kurdo e il diritto all’autodeterminazione

Il popolo kurdo
e il diritto all’autodeterminazione

Alan Darwish

ECP

I kurdi, i kurdi, i kurdi...
ma chi sono i kurdi?
I kurdi sono così tanta gente
da poter fare una nazione.
E chi decide quando un popolo diventa nazione?
Le altre nazioni...
Quali altre nazioni?



Alan Darwish (Kirkuk, 1959) studioso della storia kurda e di diritto internazionale, attivo esponente della resistenza kurda, ha curato la pubblicazione di numerosi dossier sulla questione kurda e traduzioni di poesie. È in Italia dal 1981, dove si è laureato in Scienze Politiche all’Università di Padova.

 



PREFAZIONE


Il diritto di autodeterminazione dei popoli, come con opportuna meticolosità sottolinea Alan Darwish, è espressamente riconosciuto dagli strumenti giuridici intemazionali, in particolare dalla norma contenuta nell’identico art. i dei due Patti del 1966, rispettivamente sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici. L’autodeterminazione dei popoli appartiene dunque al campo dei diritti umani intemazionalmente riconosciuti.

Il corpo organico formato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e dalle successive Convenzioni giuridiche in materia è un diritto internazionale fortemente innovativo e contiene principi di iuscogens, validi erga omnes, come autorevolmente argomenta, tra gli altri, il Tribunale Permanente dei Popoli nella ‘sentenza’ emessa nel 1992 in occasione del 500° anniversario della conquista dell'America.

L’interpretazione del diritto di autodeterminazione, in quanto diritto umano fondamentale, è guidata dai principi che informano l'intera materia dei diritti umani individuali e collettivi, in particolare la loro universalità, interdipendenza e individualità e il loro collegamento alla pace e allo sviluppo. Come i diritti civili e politici sono interdipendenti e indivisibili dai diritti economici, sociali e culturali, così l’autodeterminazione è interdipendente e indivisibile da tutti gli altri diritti umani e viceversa. Quello che informa i diritti umani è una logica organica, distica, che non si presta a parcellizzazioni e settorializ-zazioni: come dire, o tutti i diritti umani, a cominciare dal diritto alla vita individuale e collettiva, o nessun diritto umano, ovvero tutta l'illegalità.

C’è una parte di dottrina che tuttora resiste, pervicacemente, alla portata innovativa del diritto intemazionale dei diritti umani e alla sua logica inesorabilmente umanocentrica, giungendo a negare l’evidenza del dato empirico, cioè il fatto che esistono precise leggi scritte in materia, organismi di garanzia (per quanto ancora non sufficienti) e un vasto movimento popolare transnazionale che si appella ai diritti umani come alla legge suprema e opera per la sua effettività. Questa dottrina cerca ogni pretesto per sostenere che i diritti umani non sono ‘diritto’ positivo, è palesemente conservatrice, coltiva la geopolitica e la Realpolitik.

Non v’è dubbio che i diritti umani, specie da quando sono divenuti oggetto di riconoscimento giuridico internazionale, disturbano i cultori dello statocentrismo, cioè di quella ideologia che fa dello stato nazionale, sovrano, armato, accentratore, confinario un assoluto iperpersoni-ficato, assolutamente immodificabile nella sua ‘forma’. I diritti umani prendono per così dire in contropiede la dottrina giuridica tradizionale, tuttora dominante. Dire diritti umani significa infatti dire centralità della persona umana e dei popoli, (ri)scoprire quali sono i soggetti autentici della sovranità, quali sono le radici assiologiche e giuridiche della democrazia. La persona e i popoli sono entità originarie, mentre gli stati sono entità derivate e strumentali, quindi modificabili. Ne discende che i diritti degli stati sono gerarchicamente subordinati ai diritti della persona e dei popoli.

Coloro che, disturbati da questa rivoluzionaria prospettiva umanocentrica, cercano di intralciare il cammino della storia nell’era dell’interdipendenza e della trasnazionalizzazione, si azzardano a sostenere che il diritto di autodeterminazione dei popoli è ancor meno ‘giuridico’ dei diritti umani individuali adducendo due argomenti: primo, che il soggetto titolare del diritto di autodeterminazione, il popolo, non trova definizione nella norma con la quale gli viene riconosciuto il diritto; secondo, che per diritto di autodeterminazione, diversamente che per gli altri diritti umani, non è predisposto alcuno strumento di garanzia intemazionale.

Orbene, il primo argomento è smaccatamente pretestuoso, se è vero che il diritto internazionale dei diritti umani non definisce neppure il soggetto titolare dei diritti individuali, cioè la persona umana, lo human being, neppure quando si tratta di riconoscergli il diritto alla vita: la vita, a partire da quando? Per i popoli, ci si dice preoccupati di non confonderli con minoranza’ e con ‘popolazione autoctona’, dato che soltanto per il ‘popolo’ e non anche per altre entità collettive, c’è il diritto di autodeterminazione. In realtà, il discorso che possiamo definire del ‘misurino o del contagocce deH’autodeterminazione’, è imbevuto di pregiudiziali statocentriche. Come viene segnalato nel libro di Darwish, l’Unesco è pervenuta, con l’ausilio di studiosi rappresentativi delle varie culture, ad una precisa definizione di popolo basata su di una ricca gamma di indicatori. L’alibi della non definizione giuridica del concetto di popolo cade.

Ben più consistente è l'argomento della garanzia. Effettivamente, le convenzioni giuridiche intemazionali sui diritti umani hanno predisposto un complesso di strumenti e procedure deputate a tutelare i diritti individuali, non i diritti collettivi. Sta qui un problema non risolto: quello del rapporto tra diritti umani e i diritti degli stati. I diritti umani collettivi sono quelli che più direttamente collidono con l’identità, e quindi con la sovranità degli stati, poiché, come ho prima accennato, i diritti, collettivi assumono la distinzione tra la soggettività originaria dei popoli e la soggettività derivata degli stati. Ciò detto, occorre precisare ulteriormente che, in base al diritto intemazionale vigente, anche,nell’ambito dei diritti umani individuali c’è una distinzione-discriminazione quanto al grado di garanzia: i diritti più (relativamente) tutelati sono quelli civili e politici, per i quali è previsto che la singola persona, mediante ‘comunicazione individuale" possa diretta-mente rivolgersi all’apposito Comitato dei diritti umani operante in virtù dell’art. 28 del Patto intemazionale sui diritti civili e politici. Si ricorda inoltre che ai sensi della Convenzione europea del 1950, e sempre e soltanto per i diritti civili e politici, è prevista la possibilità di ricorso giudiziario alla Corte europea dei diritti umani. Comunicazione individuale e ricorso giudiziario non sono invece previsti per il soggetto collettivo ‘popolo’, né a livello universale né a livello regionale, ma non lo sono neppure per i soggetti individuali relativamente alla materia dei diritti economici, sociali e culturali. Nessuno però si sognerebbe di dire che questi diritti cosiddetti di seconda generazione non sono 'giuridici', non comportano cioè obblighi di tutela. L’obbligo invece c’è, non è adempiuto. Così è per l’autodeterminazione: c’è il diritto, c’è l’obbligo di garantirlo, ma c’è inadempienza da parte della comunità intemazionale che riconosce il diritto senza predisporne la garanzia. Sicché, il diritto rimane, ma la garanzia è lasciata al singolo. Con tutte le drammatiche sequele e le ambiguità di cui la storia dei processi di autodeterminazione è densa. Infatti lo stato che si sente minacciato nella sua integrità territoriale e ‘nazionale’ reprime violentemente i processi di autodeterminazione. I movimenti di liberazione ricorrono a loro volta alla violenza. La vicenda dell’autodeterminazione finisce così per collocarsi al di fuori della logica, etica e giuridica, dei diritti umani, che è quella del rispetto della vita e della pace e della risoluzione pacifica, cioè non violenta dei conflitti.

Allora, cosa fare? Occorre insistere affinché la comunità internazionale - Nazioni Unite e istituzioni regionali -si doti di strumenti efficaci per la gestione non violenta dei processi di autodeterminazione. 11 primo, indispensabile strumento è quello dello early warning e del monito-raggio. Quando ci sono indizi non equivoci di rivendicazione deH’autodeterminazione - come dire, quando c’è una comunità umana, con chiara identità di popolo, in condizione di sofferenza provocata da dominazione esterna o da regime autoritario, la quale manifesti la volontà di autodeterminarsi -, la situazione va immediatamente ‘intemazionalizzata’ con la presenza sul terreno di una missione inviata dall’istituzione sopranazionale competente. Nei casi più delicati va anche presa in considerazione l’ipotesi di una gestione ‘sopranazionale’ transitoria del territorio a fini di garanzia e di sicurezza per tutti.

Nel caso dei kurdi, non soltanto c’è, chiarissimo e inoppugnabile, il diritto di autodeterminarsi, ma c’è anche una situazione di persistente genocidio nei loro confronti, si procrastina cioè una estesa e flagrante violazione delle norme della pertinente Convenzione giuridica internazionale del 1948 e di tutte le Convenzioni giuridiche sui diritti umani.

L’auspicio è che il presente volume di Darwish contribuisca ad accelerare il momento in cui la comunità internazionale prenderà finalmente sotto la sua diretta ed efficace protezione l’insieme dei territori nei quali vivono i kurdi, perché questi possano liberamente e pacificamente esprimere la loro volontà sul loro futuro politico e istituzionale.

Antonio Papisca
Direttore del Centro di studi
e di formazione
sui diritti dell'uomo e dei popoli
dell’Università di Padova



Introduzione

Una decina di anni fa, durante i miei studi universitari, dovendo sostenere l’esame finale del corso di Relazioni Intemazionali, decisi di presentare una tesina sul diritto all’autodeterminazione del popolo kurdo; in quella occasione mi accorsi dell’esistenza di una grandissima lacuna nella letteratura giuridica sulla questione kurda. All’epoca non una sola risoluzione era stata dedicata dall’A.G. o dal C.d.S. al popolo kurdo e alla situazione drammatica in cui esso deve vivere e nella letteratura giuridica mancava un testo che affrontasse il problema dal punto di vista del diritto internazionale in modo completo e scientifico.

Da allora ho condotto uno studio sul tema del diritto all’autodeterminazione del popolo kurdo a cui ho dedicato la mia tesi di laurea che, ulteriormente sviluppata ed approfondita, ha dato origine a questo libro.

La spinta ad intraprendere questo lavoro è venuta dall’intenzione di dare un contributo alla lettura giuridica e scientifica della questione kurda nel diritto intemazionale; dopo un rapido cenno ai caratteri generali del popolo kurdo e del Kurdistan, ho preso in esame i diritti del popolo kurdo secondo il diritto internazionale: diritto all’autodeterminazione, diritto alla soggettività intemazionale del suo movimento di liberazione nazionale, diritti umani e collettivi e il loro rapporto con il dominio riservato, diritti sulle ricchezze e risorse naturali in rapporto all’integrità territoriale degli stati tra cui il Kurdistan è diviso; inoltre ho ricostruito in breve l’interessamento della S.d.N. nei confronti del Kurdistan.

L’importanza geopolitica ed economica del Kurdistan, dovuta agli stretti legami esistenti tra la questione kurda e la realtà politico-economica degli stati mediorientali, non deve più giustificare il disinteresse del diritto intemazionale ...




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