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La Crisi del Golfo


Auteur :
Éditeur : Elea Press Date & Lieu : 1991, Salerno
Préface : Pages : 286
Traduction : ISBN : 88-85269-08-7
Langue : ItalienFormat : 155x210 mm
Code FIKP : Liv. Ita. Pan. Cri. N°2609Thème : Général

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La Crisi del Golfo

La Crisi del Golfo

Massimo Panebianco


Elea Press


Come tutte le crisi internazionali anche quella del Golfo ha richiesto un grosso impegno per ristabilire lo stato di pace in Medio Oriente.
Questo volume raccoglie gli atti di un convegno universitario e sottolinea gli sforzi intrapresi dalla Comunità internazionale nel suo insieme, dallo Stato italiano, dalla Chiesa Cattolica e dalle Chiese cristiane di Occidente e di Oriente.
Tutti gli sforzi sono stati compiuti in nome del rispetto della legalità e del rafforzamento dello Jus Publicum, nella sua triplice dimensione intemazionale, statuale ed ecclesiastica.
Tutti i vari soggetti hanno contribuito a porre fine alla guerra in Medio Oriente ed ora restano come fattori importanti del processo di pace e di giustizia fra gli stati della regione.


Massimo Panebianco
Esperto in relazioni intemazionali, è preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Salerno. Docente presso la Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione della Presidenza del Consiglio, dal 1985 partecipa alle sessioni del Asian - African Legai Consultative Committee (AALCC) nella delegazione dell’Unidroit.
Tra le sue opere principali:
- Codice del Mercato Comune (Milano, voli. 7,1989)
- Diritto e relazioni internazionali (Salerno, 1990)
Collaboratore di riviste nazionali e internazionali, è editorialista del ROMA.



INTRODUZIONE

«Mai come in questi giorni abbiamo sentito la necessità
di un rafforzamento del diritto dei popoli».

(Dal messaggio del Presidente del Senato On. Prof. Giovanni Spadolini
al Preside della Facoltà di Giurisprudenza di Salerno - 6 marzo 1991).

«Il tema del Convegno, di così scottante attualità, non lascia dubbio alcuno circa la rilevanza culturale e civile dei problemi in discussione. La crisi del Golfo, una crisi che ha condotto a una guerra, non può non provocare una riflessione di ampio respiro proprio in quelle sedi - come l’Università - in cui la passione etica e civile non può non coniugarsi con il massimo sforzo di obiettività e di 'distacco' scientifico.

La buona sorte vuole che il Convegno si svolga nel momento in cui le speranze di una fine del conflitto guerreggiato sono ormai corroborate da pubbliche prese di posizione. Non vi è chi non veda, peraltro, quanti e quali problemi rimangano da affrontare, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, per ricostruire (materialmente e politicamente) le condizioni di vivibilità più opportune in un angolo del mondo così tormentato e, ad un tempo, così cruciale».

4 marzo 1991

Roberto Racinaro
Magnìfico Rettore



Parte prima

La prima fase della crisi del Golfo: i fatti e le opinioni a confronto

L’Iraq prima della guerra del Golfo

Antonio Napolitano *

Ho passato più di quattro anni - dal 1982 al 1986 - come Ambasciatore nell’Iraq in guerra: ho visto - ed in certa misura umanamente condiviso - le ansie e le preoccupazioni di quel popolo di 17 milioni nella loro guerra di otto anni con l’Iran; ho conosciuto Saddam Hussein e la dirigenza iraquena che coincide con quella del partito Baath regionale (cioè iraqueno, essendo il Baath nazionale quello panarabo che avrebbe dovuto imporsi sull’intero mondo arabo, sulla “Umma al Arabia” quale partito del risveglio) e mi sforzo quindi di cercare di comprendere cosa possa avere portato un popolo, uscito non perdente ma provato da un conflitto di otto anni con il più potente vicino, ad un suicidio politico militare che lo sta portando alla distruzione.

Sembra anzitutto si debba eliminare la chiave di lettura un po’ semplicistica che trova la spiegazione di ciò che è successo nel Golfo semplicemente nella follia del leader; anche se può naturalmente essere possibile tutto, anche un improvviso drammatico deterioramento delle condizioni di salute di Saddam, la storia più recente ci ha sempre raccontato come il limite della illogicità di conduzione da parte di una leadership non possa superare i tempi brevissimi.

Sembra anzitutto che non vi possano essere dubbi sul fatto che l’Iraq di Saddam Hussein ha distrutto - con un gioco ben più grande delle sue forze ed in pochi mesi - anni di lavoro: poco importa a tal punto chiedersi se Saddam, che indubbiamente ha confermato anche nella disfatta, di avere tuttora un seguito nel suo popolo, rimarrà in sella, anche se personalmente mi sembra che ciò sarebbe oggi tutto sommato solo un ostacolo al rientro dell’Iraq nel consesso delle Nazioni.

Varrà quindi la pena di sforzarsi di esaminare più da vicino come mai tutto ciò sia potuto accadere, includendo nell’analisi i motivi remoti e recenti che l’Iraq può aver avuto - spesso manifestandoli confusamente e comunque in forma sempre inaccettabile - alla base del suo comportamento.

Nato nel 1923 dalla spartizione dell’impero turco pro-tedesco al termine della prima guerra mondiale, l’Iraq, in base all’accordo Sykes Picot del 1916 ...

* Ambasciatore d’Italia a Lussemburgo




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