La bibliothèque numérique kurde (BNK)
Retour au resultats
Imprimer cette page

Viaggi in Armenia, Kurdistan e Lazistan


Auteur :
Éditeur : Argo Date & Lieu : 1999-01-01, Lecce
Préface : Pages : 328
Traduction : ISBN :
Langue : ItalienFormat : 210 x 295 mm
Code FIKP : Liv. Ita. Bin. Via. N° 1771Thème : Général

Présentation
Table des Matières Introduction Identité PDF
Viaggi in Armenia, Kurdistan e Lazistan

Viaggi in Armenia, Kurdistan e Lazistan

Alessandro de Binchi

Argo

Un “giornale di viaggio” steso a Costantinopoli nel 1859 da un patriota italiano riparato in terre ottomane per sfuggire alla repressione austriaca e che, alla testa di un drappello della guardia imperiale turca, ha percorso per qualche anno le misteriose province asiatiche dell’impero, ha molte probabilità di essere letto come un testo ‘esotico’. Né ovviamente i pur competenti consigli di natura strategica che l’ufficiale indirizza al governo turco al fine di fronteggiare il pericolo russo e quello persiano convinceranno il lettore che lo scopo di questo ‘resoconto’ era solo quello di parlare di cose di guerra.
De Bianchi ha consapevolmente costruito una sapiente “opera letteraria” che s’inserisce di diritto nel solco di un glorioso genere letterario ma, per fortuna, l’onesta curiosità dell’autore ha convogliato le informazioni generosamente raccolte lungo un versante di taglio prevalentemente antropologico, assicurando al lettore moderno una preziosa finestra su un mondo scomparso.
Oggi tutto è mutato: l’impero ottomano non esiste più, la diaspora di molte genti che De Bianchi incontrò nel suo viaggio ha sospinto intere popolazioni entro confini artificiali ma, proprio per questo, riappropriarsi del fondale geo-politico da cui hanno avuto origine molte delle tragedie che continuano a insanguinare quelle terre, rende almeno più comprensibile la complessità dei conflitti che attraversano un’area cruciale del nostro mondo.

Alessandro de Bianchi (Mantova 1831-Brescia 1902), per sfuggire alla repressione austriaca, riparò nell’impero ottomano e dal 1855 al 1858, come ufficiale della guardia imperiale turca, percorse i vasti e difficili territori delle province asiatiche: Armenia, Georgia, Kurdistan e Lazistan. Consapevole dell’importanza delle esperienze accumulate nel corso di tale viaggio. De Bianchi, tornato a Costantinopoli, nel 1859, fissò il suo “giornale di viaggio” che, ili suo rientro in Italia, vedrà la luce a Milano nel 1863 per i tipi di Gareffi, col titolo Viaggi in Armenia, Kurdistan e Lazistàn. La scarna documentazione in nostro possesso ci dice solo che De Bianchi, integrato nell’esercito nazionale, partecipò ai principali appuntamenti che fecero l’Unità del Paese (campagna contro gli austriaci del 1866, occupazione di Roma nel 1870) e terminò la sua carriera militare come maggiore della Riserva.


INTRODUZIONE
di Mirella Galletti

Numerosi patrioti italiani dovettero rifugiarsi in Paesi stranieri durante il Risorgimento, per poi tornare in Italia dopo l’unità. Durante l’esilio svolsero attività che li misero in diretto contatto con le popolazioni locali, e così appresero usi e costumi, lingue e culture di quei popoli lontani. Tornati in Patria spesso pubblicarono le loro esperienze. Tra questi emerge la figura di Alessandro De Bianchi1, nato a Mantova il 15 novembre 1831. Risulta all’anagrafe come Alessandro Bianchi, figlio di Celestino Bianchi, notaio e letterato di qualche fama, e di Elisabetta Coffani. A dieci anni restò orfano del padre.2 Poi, non si sa quando, al cognome si aggiunse la particella nobiliare De. Si laureò in Legge all’Università di Pavia nel 1854.
La repressione austriaca indusse Alessandro De Bianchi a riparare nell’impero ottomano che “accolse amorevolmente i profughi del dispotismo di tutte parti d’Europa” come rileva nel “Proemio” (p. 32). Mancano riferimenti precisi sull’attività patriottica, che aveva addentellati con i Martiri di Belfiore. La sorella Emilia, nata nel 1834, aveva sposato il colonnello Giuseppe Gridi (1823-1905) che fu uno degli uomini più fattivi e audaci della congiura di Belfiore, condannato a morte in contumacia, ebbe ribadita la sentenza dopo l’arresto, successivamente commutata in diciotto anni di carcere duro. Giuseppe era fratello di Don Giovanni Gridi, fucilato a Belfiore nel 1851.
Alessandro De Bianchi, con il grado di capitano nello Stato Maggiore dell’Artiglieria turca, poi di ufficiale superiore d’Artiglieria della Guardia Imperiale Ottomana, partecipò alla campagna di Crimea ed Anatolia. Alla testa di un drappello della guardia imperiale turca percorse dall’ottobre del 1855 all’ottobre del 1858 le province asiatiche dell’impero: Armenia, Georgia, Kurdistan e Lazistan.
Dopo l’unità italiana fu integrato nell’esercito nazionale- con il grado di capitano nel 3° Reggimento Brigata Sacchi, 15* Divisione dell’Esercito dell’Italia meridionale dal 10 agosto del 1860 con Decreto dittatoriale. Partecipò alla campagna dell’Italia meridionale nel napoletano. Nel luglio del 1861 fu confermato nell’Arma di Fanteria del Corpo Volontari Italiani e l’anno successivo capitano del 22° Reggimento Fanteria dell’Esercito italiano. Prestò il giuramento di fedeltà a Bergamo (4 maggio 1862). Nel 1863 fu distaccato presso il Tribunale territoriale di Livorno e negli anni succèssivi ad Alessandria (1864), Ancona e Bologna (1866), Palermo (1867), Firenze (1868).
Partecipò alla campagna contro gli austriaci (1866) e quella per l’occupazione di Roma (1870). Di nuovo ufficiale istruttore nell’Italia centrale (agosto 1870) e dopo Roma capitale fu di nuovo assegnato al Tribunale militare di Firenze (ottobre 1870), poi a Verona (1872) e Alessandria (1877). È documentato il trasferimento dal servizio effettivo [Regio Decreto 3 maggio 1883] al servizio ausiliario con pari grado - Distretto di Alessandria del 16 novembre 1884. Fu collocato a riposo con il grado di maggiore nel ruolo di ufficiale di Riserva (1892). Cessò di appartenere alla Riserva per limiti di età il 13 ottobre 1896. Da quell’anno non compare come riservista negli Annuari militari. Morì a Brescia il 21 maggio 1902.
Sarebbe importante ricostruire la vita e il pensiero di Alessandro De Bianchi dopo il ritorno in Italia, ma non sono stati trovati documenti, carteggi e testimonianze che possano illuminarci. Per molto tempo le uniche notizie biografiche erano desunte dalla copertina del suo libro.3 La sua è stata la vita lineare di un patriota che, anche per ragioni anagrafiche, ha partecipato in prima persona a tutte le fasi dell’unificazione italiana ed ha operato a livello istituzionale in molte regioni del Paese. Risultava residente a Palermo sul suo certificato di matrimonio celebrato in Alessandria il 24 febbraio 1868 con Apollonia Clotilde Tarchetti. Pare si trovasse a Roma impegnato in azioni militari, ma il dato non è certo, quando il 10 luglio 1870 nacque a Firenze il figlio Celestino. Rimase vedovo nel 1880.
Al figlio Celestino, letterato che ebbe una qualche fama, e ai discendenti sono rimaste la medaglia militare del governo ottomano (1856), e quelle italiane per “le guerre combattute per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia, colle fascette delle Campagne del 1860-61,1866 e 1870”, la medaglia col motto “Unità d’Italia 1848-1870”, la decorazione della Croce di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia (1892).4
Poco dopo il rientro in Italia, Alessandro De Bianchi diede alle stampe questo libro che può essere considerato il più interessante della letteratura italiana suH’argomento. A distanza di un secolo e mezzo mantiene tutta la sua freschezza per il linguaggio, per l’alternanza di aneddoti e notizie storico-etnografiche. L’autore nutrì un profondo rispetto per le popolazioni locali. E il prototipo del viaggiatore colto e curioso, con una visione laica della vita e che cerca di comprendere il mondo circostante senza preconcetti. Dalla sua opera emerge un’analisi dettagliata ed attenta, non priva in certi tratti di un intelligente umorismo, di alcuni aspetti delle società con cui entra in contatto. Descrive con grande vivacità e immediatezza le società e le usanze di quei luoghi lontani, con valutazioni politiche e geo-strategiche su quelle regioni.
L’autore “fece ogni sforzo per raccogliere notizie sulle condizioni fisiche, sociali, politiche, religiose, militari di quei paesi. Ardeva allora la guerra colla Russia sicché i doveri del servizio gli impedirono di fare ricca messe di notizie come pure avrebbe voluto. Più tardi, cessata la guerra, rivide con maggior quiete que’ luoghi, e malgrado gli incredibili disagi... riuscì nel raccogliere ricchi materiali per un lavoro che affidato può dirsi alla sua sola esperienza e privo di ogni letterario soccorso scrisse in Costantinopoli nel 1859 e pubblicò in Milano”.'
L’opera è divisa in tre parti: la prima tratta dell’Armenia, la seconda, e più corposa, comprende il Kurdistan, la terza è sul Lazistan. De Bianchi descrive la storia curda dall’antichità ai tempi presenti, la lotta del capo curdo Mehmet bey contro il potere centrale,0 la strategia dell’impero ottomano, della Persia e della Russia verso il Kurdistan, usi e costumi dei curdi, lingua curda, situazione economica e commerciale della regione, nonché i yezi-di. Sono degne di attenzione le descrizioni delle maggiori città armene e curde: Kharput (oggi Elazig), Dersim (oggi Tunceli), Erzurum, Bayazid, Bitlis, Mardin, Diyarbakir nell’attuale Turchia; Koysanjaq, Sulaimaniya e Kirkuk in Iraq.7
De Bianchi dà un quadro semplice, naturale, ricco e minuto del Kurdistan, non vuole stupire il lettore con racconti mirabolanti ma descrive le cose così come le ha viste. Segnala con grande accuratezza i lati positivi e le caratteristiche salienti, accettando le popolazioni autoctone, e i curdi in particolare, per quello che sono e rappresentano, senza tentare di modificarle o mutare il corso della loro storia e le basi morali, culturali e religiose sulle quali poggiano le loro società. La presenza di spirito lo induce a dichiararsi yezida in situazioni delicate (p. 286).
Per taluni aspetti Alessandro De Bianchi può essere accostato al grande viaggiatore e orientalista romano Pietro Della Valle8 per l’approccio diretto con le popolazioni autoctone. Il suo libro può essere comparato per ricchezza e veridicità dell’informazione a quelli di altri viaggiatori europei più noti di epoca coeva quali l’inglese Frederick Millingen."
Riporta aneddoti, ma solo se ne è protagonista o li ritiene esemplificativi, come quando per confermare l’origine indoeuropea della lingua curda si trovò al centro di un divertente episodio:
Quello che più ci recò meraviglia, sebbene già ci fosse noto, fu la strana somiglianza di alcuni vocaboli kurdi con parole italiane. Battendo una notte alla porta di una casa kurda per chiedervi d’alcuno, ci venne domandato: 'Ef chi è?’ Per un momento, dimenticando una siffatta coincidenza, credemmo che un Italiano vi si trovasse entro; nullame-no, non ancora persuasi, rispondemmo in turco; al che ci fu soggiunto: 'no'. Allora ci venne in capo davvero che il nostro interlocutore fosse un italiano forse al servizio del governo, e parlammo in questo idioma per avere una risposta più esplicita; ma l’illusione non doveva durare più a lungo, ed a quelle espressioni succedettero discorsi inintelligibili. Anche nella coniugazione del verbo venire qualche radice e desinenza assomiglia all’italiano: così pure per dire, basta, in kurdo dicesi bèstir, pronunciato con quel suono che è in uso nell’Italia centrale, cioè col primo a volgente verso Ve (p. 251).
L’opera è ricca di dati e notizie utilissime per la vastità del campo abbracciato. La sua conoscenza della lingua turca gli permette di attingere a fonti poco conosciute in Europa quale il viaggiatore Evliya Qelebi, soprattutto quando descrive le tribù curde. L’autore valuta la popolazione curda a poco meno di tre milioni, mentre le stime ufficiali la fanno ascendere a un milione (p. 192), evidenziando la scarsa attendibilità delle fonti governative.10 Individua il “vero” curdo nell’abitante dell’area di Sulaimaniya, ancor oggi centro del nazionalismo e della cultura curdi. Attinge largamente, come per altre considerazioni, dall’opera dell’ufficiale britannico William Heude che visitò l’area nel 1817. Può essere utile un confronto tra i due testi:
Sulimaney è quindi il centro della più alta vallata del Curdistan; e siccome questa vallata è cinta da immense montagne coperte di neve, per
10 meno la massima parte dell anno, gode di tutti i vantaggi de’ nostri climi più temperati, senza perdere quella sovrabbondante fertilità che in generale alle regioni più calde appartiene. Ell’è veramente sotto ogni rapporto, una delle più belle e delle più iertili vallate del mondo. Gli stessi Curdi, nazione errante dai tempi i più rimoti e discendenti dagli antichi Parti, conservano su queste montagne le primitive abitudini che hanno perdute nelle città e mostrano quella fierezza d’indipendenza, quello spirito indomabile, che è altrettanto curioso d’osservare che periglioso talora di scontrare. Ben digerenti dai loro concittadini che abitano le pianure, questi montagnardi, masnadieri di professione, in continua attività, non s’occupano che in rintracciare occasioni di far un qualche bottino. Sono in generale d’una costituzione attiva e vigorosa."
I veri Kurdi, che consert ano intatte le primitive abitudini ereditate da quei terribili cavalieri ch'erario i Parti; i più fieri, quelli dall’indomito coraggio, che è altrettanto ammirabile quanto periglioso a cimentarsi, si trovano nelle parti più meridionali e montuose del Kurdistàn persiano e dell’ottomano adiacenti al Luristàn, e nei dintorni di Suleymanièh, città posta al centro della più alta e fertile vallata del Kurdistàn. Costoro, predoni di professione, di null’altro s'occupano che di bottino: in ciò spendono tutta la loro attività. Generalmente dotati della più vigorosa costituzione fisica, arditi ed instancabili, di tinta bronzina per l’azione de raggi solari, presentano l'aspetto del puro masnadiero (...) Dotati d’una intelligenza e d’una fantasia tutta propria delle nazioni orientali, i Kurdi (...) mostrano ingegno e svegliatezza assai superiore ai Turchi loro dominatori... (De Bianchi, p. 198).
Già mezzo secolo prima, il domenicano Giuseppe Campanile li aveva così descritti: “L’aspetto degli abitanti è florido, vermiglio, ed allegro. Hanno l’uso di mangiare quattro volte al giorno. Sono la gente più guerriera, e forte, che vantar possa il Kurdistan”.12
Il mantovano lascia una descrizione pacata della religiosità curda: “I Kurdi, in generale, sono lungi dall’essere fanatici in materia di religione, e tanto meno scrupolosi nell’osservanza delle pratiche materiali da essa imposte” (pp. 160-161).
Scrive forse il miglior ritratto che ci sia pervenuto della donna curda, anche qui cesellando il testo di Heude:
Le donne Curde possono da un altro lato venir paragonate ad un tal quadro. Nella loro giovinezza una tinta bruna ed animata, e un aspetto gioviale potrebbero farle passare per ninfe montagnarde; ma ben tosto divengono Amazzoni seguendo i loro mariti in tutte le loro corse e i loro vezzi svaniscono prontamente colle fatiche d’una vita errante.
Le loro attrattive brillano in tutta la loro freschezza dai 15 sino ai 20 anni, e dai 25 volgono di già al loro declino. Costantemente a cavallo sfidano i loro mariti per l’ardire e la velocità delle loro corse e pochi cavalli disputar la potrebbero a quelli del Curdistan per la celerità con cui salgono e scendono le più scoscese colline.13
L’aspetto gioviale dei loro volti, la tinta bruna, la vivacità dei loro occhi rammentano le selvaggie ninfe dei monti, immaginate dai poeti. Le loro attrattive spiccano in tutta la loro forza dai quindici ai vent’anni. Avvezze alla vita errante fin dalla nascita, acquistano ben presto un indomito ardire: montate costantemente su corsieri senza pari per la velocità, salgono e discendono per le più scoscese colline, sfidano i loro mariti nelle più rapide corse, li seguono, li soccorrono nel periglio della battaglia. Giunte per altro all’età di venticinque anni, i loro vezzi presto svaniscono, e mentre la tempra dei loro corpi è fatta più robusta pei disagi della vita nomade, i loro visi più non presentano quei caratteri di vaghezza che le facevano poco prima altrettante fiere beltà (De Bianchi, p. 199).
Sono peraltro acute le valutazioni sui tentativi di penetrazione russa nel Kurdistan (pp. 194-195).14
Infine l’autore sottolinea, come già Giuseppe Campanile, l’agibilità del territorio curdo per attuare la guerriglia:
La natura affatto montuosa del Kurdistan fu la causa principale per cui i Turchi non poterono, se non con fatica, ridurne ad obbedienza le popolazioni. Dacché i Kurdi ebbero incominciato a reggersi in certo modo da per sé, ed a riconoscere Persiani e Turchi come loro oppressori; pratici dei luoghi e favoriti dalle gole dei loro monti, nei quali con pochi armati potevano arrestare corpi di gran lunga superiori, fecero pagare assai caro ai Turchi le spedizioni, benché non invano intraprese contro la loro indipendenza (p. 188).
L’opera del De Bianchi è fondamentale per uno studio approfondito delle società e delle condizioni politiche della regione armeno-curda nella seconda metà del XIX secolo. E un testo importante perché rappresenta un reperto archeologico, la fotografia di un mondo, quello ottomano, che sarebbe scomparso con la prima guerra mondiale. I capitoli seppure dedicati ad aree diverse quali Armenia, Kurdistan e Lazistan sono difficilmente scindibili. Queste regioni erano abitate da un mosaico di popoli e religioni. Curdi e armeni sono citati in quasi ogni pagina, spesso vi sono richiami ad assiri, caldei, siri, yezidi, meno frequentemente a ebrei e turcomanni. Un caleidoscopio dei popoli e delle religioni che hanno rappresentato il tessuto connettivo del mondo ottomano nell’Asia Occidentale.
Il Kurdistan rappresenta un punto d’incontro delle religioni monoteiste e delle più svariate confessioni che spesso rappresentano etnie con lingue, alfabeti, calendari diversi. Da secoli vi convivono musulmani sunniti e eterodossi (turcomanni, curdi e yezidi), cristiani (armeni, assiri, caldei, siri), ed ebrei. Ci sembra utile presentare le caratteristiche principali delle comunità radicate fin dall’antichità nell’area armeno-curda.
Gli armeni parlano una lingua del gruppo indo-europeo, scritta con l’alfabeto nazionale armeno, inventato secondo la tradizione nel 404-405 dal santo Mesrop Mashtots. La nazione armena grazie al re Trdat III (Tiridate, IV secolo d.C.) adotta intorno al 301 il Cristianesimo come religione di Stato e rivendica il titolo di prima nazione cristiana. “Il Regno d’Armenia fu il primo Stato ad accogliere ufficialmente la fede cristiana e a professarla da quel momento in poi in una continuità ininterrotta”.15 Ciò ha favorito il consolidamento della coscienza nazionale. La Chiesa apostolica armena è alla base dell’unità nazionale e la religione rappresenta anche la fonte della cultura armena nelle sue espressioni letterarie, artistiche, architettoniche.
I cristiani di rito siriaco (assiri, caldei e siro-cattolici) parlano dialetti neoaramaici nord-orientali che appartengono al ramo nord-occidentale delle lingue semitiche. Utilizzano l’alfabeto siriaco orientale e il movimento assiro, nato in ambiente siro-orientale, usa un antico calendario dove il 2002 d.C. corrisponde all’anno assiro 6751. Sono uno dei primi popoli ad aver abbracciato il Cristianesimo e fanno risalire la loro evangelizzazione all’apostolo Tommaso. Secondo la leggenda, nel HI secolo Abgar IX, che regnava in Osroene con capitale Edessa (l’odierna Urfa), sarebbe stato il primo sovrano a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale.
Gli assiri (chiamati anche nestoriani) sono concentrati in alcune aree del Kurdistan: Iraq nord-orientale, la provincia di Hakkari in Turchia, e le sponde occidentali del lago di Urmia nell’Iran nord-occidentale. I caldei cattolici sono maggioritari nei villaggi e città delle pianure. I siri ortodossi (giacobiti) sono invece concentrati negli antichi centri di Tur ‘Abdin e Mardin. Nei centri urbani sono presenti protestanti appartenenti a varie denominazioni.16
I curdi sono di origine iranica, in maggioranza musulmani sunniti. La lingua curda appartiene al gruppo nord-occidentale delle lingue iraniche e si scrive con tre alfabeti: arabo (Iran e Iraq), latino (Turchia e Siria), cirillico (ex-Urss). Il computo degli anni nel calendario curdo avviene a partire dal 612 a.C., caduta di Ninive. Un proverbio curdo sostiene: “Tra noi e gli assiri, vi è lo spessore di un capello; tra noi e gli armeni, lo spessore di una montagna”. Le relazioni tra curdi e armeni sono spesso state difficili.17
Gli ebrei sono stati presenti in Kurdistan dalla deportazione del 720 a.C. fino ai primi anni Cinquanta del XX secolo. Un’antica tradizione sostiene che questa comunità discendeva dalle Dieci Tribù Perdute del regno di Israele. Il Kurdistan era cosparso di comunità israelite che, per la maggior parte, parlavano varietà della lingua neoaramaica parlata dai cristiani della regione. La maggior parte delle città aveva il cinque-dieci per cento di ebrei sulla popolazione totale, con una punta del trenta-sessanta per cento nella zona di Zakho (nord Iraq). Le comunità ebraiche che vivevano isolate sulle montagne curde con pochi contatti con il mondo ebraico pagavano un tributo ai capi tribali curdi che a volte le opprimevano, a volte le proteggevano dalle altre tribù.18
I turcomanni sono di origine turca e provengono dalle regioni centroasiatiche. Parlano turco. Sono in maggioranza musulmani sunniti. Vivono in città e villaggi ad est del fiume Tigri, in un’area cuscinetto tra le montagne curde e la pianura araba, soprattutto a Kirkuk, Kifri, Khanaqin. Tradizionalmente erano impiegati nella burocrazia o utilizzati dagli ottomani per reprimere le rivolte curde.
I yezidi sono curdi che aderiscono a una setta che sembra derivare da una corrente estremista ommiade che avrebbe divinizzato il califfo Yazid, l’“assassino” di Husein, figlio del quarto califfo ‘Ali e quindi discendente di Muhammad. I yezidi abitano principalmente a oriente di Mosul, nel Gebel Singiar, a nord della città di Shaikhan. Sono denominati talora “adoratori del Diavolo”. In realtà nel loro complesso appaiato mitologico e culturale ha un ruolo centrale 1’“angelo pavone ’, Malak Ta’us, assimilabile a Lucifero, che, però, dopo essere caduto, si pentì e fu perdonato da Dio, il quale gli affidò la conservazione del mondo. Durante il XIX secolo subirono pesanti persecuzioni da parte delle autorità ottomane.
A proposito dei yezidi, De Bianchi cita il domenicano Maurizio Garzoni come fonte per la “descrizione del pascialìk di Bagdàd” (p. 228). In realtà questo brano è un riassunto a braccio del testo del missionario italiano. Maurizio Garzoni (1734-1804)19 è considerato il “padre della curdologia” per essere l’autore della prima grammatica e vocabolario curdo. Avendo vissuto una ventina d’anni a Mosul, aveva una profonda conoscenza delle lingue e della società del Kurdistan ed era un riferimento per gli studiosi dell’epoca. Gli fu chiesto uno scritto sui yezidi che fu pubblicato postumo a Berlino (1807), a Parigi (1809) e in Italia solo nel 1932.
Nei resoconti di viaggio dei secoli scorsi emergono scorci delle complesse relazioni tra le varie comunità. Purtroppo mancano ricerche sulla struttura della divisione etnica del lavoro e sui rapporti interetnici nella regione armeno-curda. Esistono numerose pubblicazioni su ogni comunità considerata singolarmente, ma non è mai stata elaborata una analisi comparata, proprio per la difficoltà anche linguistica di un approccio a mondi contigui ma così diversi tra loro.
I vari gruppi etnico-religiosi detenevano il predominio in attività specifiche. Le cariche militari e politiche erano nelle mani dei musulmani, ma i curdi e i cristiani costituivano tribù semi-indipendenti, talora dedite alla razzia.
Quasi metà degli armeni e numerosi ebrei abitavano negli agglomerati urbani, occupati nel commercio e nell’artigianato, assorbiti neU’amministrazione e nella finanza (settore quest’ultimo considerato indegno dai musulmani). Le due comunità erano strutturalmente confinate in una posizione di minoranza intermediaria (o minoranza cuscinetto).
Il Kurdistan non ha confini precisi e si sovrappone alla frangia meridionale della cosiddetta Grande Armenia. Il nome Kurdistan (paese dei curdi) compare per la prima volta in documenti del XII secolo, quando il sultano turco selgiuchide Sangiar creò una provincia cosi denominata, con capitale Bahar, a nord-est di Hamadan.20 Venne spartito tra l’impero ottomano e la Persia con la battaglia di Cialdiran (1514) e con il trattato di Qasr-i Shirin (1639).
L’impero ottomano e la Persia attuavano una politica multi-etnica che si basava sulla lealtà al sultano e allo scià, sul pagamento dei tributi, e sul rispetto per l’ordine. La convivenza tra le varie comunità era strutturata in modo da non minacciarne l’identità. L’autonomia locale preservava il modo di vivere e la cultura dei vari gruppi. Le pressioni sociali erano limitate o precluse per il basso livello di mobilità e di comunicazione. Musulmani, cristiani ed ebrei si scambiavano servizi ma non intrattenevano strette relazioni sociali, tali da permettere matrimoni misti O l’adozione di usi e costumi di altre comunità.21 Ciò non escludeva i rapporti sociali di vicinato, di visite reciproche, di cordialità.
Le relazioni a compartimento tra i gruppi etnici e religiosi subirono un’erosione alla fine del XIX secolo, quando lo sviluppo del nazionalismo intaccò il modello a mosaico, stimolò la coscienza etnico-religiosa, contribuì a modificare i rapporti esistenti con la proliferazione di progetti nazionalistici che non potevano realizzarsi senza conflittualità.
Nel XX secolo il territorio che congiunge le aree iranica, anato-lica e mesopotamica è al centro di sconvolgimenti demografici che hanno cambiato in maniera irreversibile le condizioni di vita degli abitanti. Cristiani ed ebrei sono quasi scomparsi dall’area. Nel 1915 un milione e mezzo di armeni furono sterminati.22 Fu il primo genocidio ideologico del XX secolo.23 Durante la prima guerra mondiale settantamila cristiani siri orientali furono massacrati24 quando alcune comunità siro-orientali appoggiarono la Russia contro l’impero ottomano e, a seguito dei massacri turchi, abbandonarono in massa il territorio anatolico per rifugiarsi in Persia e nell’Iraq ottomano, occupato dalle truppe britanniche. Per gli ebrei la fondazione dello Stato di Israele (1948) determinò l’emigrazione quasi totale verso lo Stato ebraico.
La scomparsa dell’impero ottomano provocò la divisione del Kurdistan ottomano fra tre Stati (Turchia, Iraq, Siria), mentre il Kurdistan persiano restò incluso nei confini dell’Iran. Fu ricondotto a problema interno dei singoli Stati la salvaguardia delle comunità autoctone che sono così diventate popolazioni transnazionali, disperse in vari Stati vicino-orientali, sottoposte a politiche diverse, e che quindi hanno subito destini differenti. Sono le comunità della diaspora armena, assira e caldea, curda e yezida, popoli senza Stato che lottano per i diritti nazionali e per la riunificazione. Le frontiere artificiali condizionano profondamente la loro struttura politica, economica, sociale e culturale; l’integrazione forzata attuata dai governi centrali ha accentuato inoltre le disuguaglianze tra le varie aree.
Il passaggio dall’entità sovranazionale ottomana, in cui i popoli godevano di una vasta autonomia, agli Stati arabi e turco, i quali perseguono una politica nazionalista mirante a forgiare una nuova identità in tutti gli abitanti, ha in alcuni casi annientato le comunità etnico-religiose minoritarie o le ha espulse, in altri ha attuato repressioni brutali e l’integrazione forzata. Questa strategia è stata particolarmente nefasta per i gruppi etnico-religiosi più deboli che in vaste aree sono addirittura scomparsi. In particolare la Turchia ha attuato nei confronti dei popoli non turchi (armeni, assiri, caldei, siri ortodossi, curdi) una politica onomatofoba. I nomi originali di numerosi villaggi e città cristiani25 e curdi sono stati cambiati con nomi turchi.

Note

1 Il cognome de Bianchi ha la particella ‘de’ minuscola sulla copertina originale dell’opera, invece è maiuscola ‘De’ nel foglio matricolare.
2 Il necrologio di Celestino Bianchi è pubblicato da Diego Venturelli in Gazzetta di Mantova, n. 6, 6 febbraio 1841, pp. 1, 22.
3 Alessandro De Bianchi, Viaggi in Armenia, Kurdistan e Lazistàn, Milano, F. Gareffì, 1863, pp. XVI + 326. Cfr. “De Bianchi, Alessandro”, IBN, Index hio-bio-graphicus notorum hominum, Osnabriick, Biblio Verlag, 1991, voi. 50, p. 588.
4 Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Guerra, Direzione generale leve e truppa, ruoli matricolari di ufficiali. Documentazione anagralica (Foglio di Famiglia n. 3396 e Censimento del 1867) conservata all’Archivio Storico del Comune di Mantova. Mirella Galletti, “Curdi e Kurdistan in opere italiane dal XIII al XX secolo”, in Le relazioni tra Italia e Kurdistan, [Roma], Istituto per l’Oriente C.A. Nallino, 2001, pp. 66-70 (“Quaderni di Oriente Moderno", XX [LXXXI], n.s., 3).
5 G. Branca, Storia dei viaggiatori italiani, Roma-Torino-Firenze-Milano, Paravia e Comp., 1873, p. 450.
6 Si veda l’opera di Madame la Princesse de Belgiojoso, Scènes de la vie turque, Paris, Lévy, 1858, pp. 387; trad. it. Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Un principe curdo, Ferrara, Luciana Tufani Editrice, 1998, pp. 162. L’autrice narra le vicende del principe nazionalista curdo Mehmet bey, conosciuto personalmente, al quale l’assemblea aveva affidato la missione di guidare i rivoltosi curdi contro le misure prese dal governo ottomano di sopprimere i pascoli utilizzati dai pastori curdi da secoli e vitali per la loro economia.
7 Mirella Galletti, “Kurdish cities through thè eyes of their European Visitors”, in Le relazioni tra Italia e Kurdistan, op. cit., pp. 109-148.
8 Pietro Della Valle, Viaggi di Pietro Della Valle il Pellegrino, Con minuto ragguaglio di tutte le cose notabili osseruate in essi, Descritti da lui medesimo in 54. Lettere familiari, Da diuersi luoghi della intrapresa peregrinatone. Mandate in Napoli All’erudito, e fra’ più cari, di molti anni suo Amico. Mario Schipano. Diuisi in tre Parti. Cioè, La Turchia, La Persia, et L’India, Co'l ritorno in Patria, et in quest’ul-timo Impressione, aggiuntaui la Vita dell’Autore, Venetia, Presso Paolo Baglioni, 1667, 4 voli., pp. 36 nn.+550+22 nn., 610+28 nn., 644+30 nn., 612+22 nn..
9 Frederick Millingen, Wild life among thè Koords, London, Hurst & Blackett, 1870.
10 All’inizio del XIX secolo Olivier valutò a circa un milione i curdi nell’impero ottomano, mentre non potè dare alcuna stima per i curdi in Persia. Cfr. G. A. Olivier, Viaggio nella Persia, Milano, Sonzogno, 1816, 2 voli., tomo I, p. 66.
11 Guglielmo Heude, Viaggio dalla costa del Malabar a Costantinopoli per il Golfo Persico, l’Arabia, la Mesopotamia, il Kourdistan e la Turchia eseguito nell’anno 1817 da Guglielmo Heude tenente al servizio d’Inghilterra, Milano, Sonzogno, 1820, 2 voli., cfr. voi. II, pp. 35-36.
12 Giuseppe Campanile, Storia della regione del Kurdistan e delle sette di religione ivi esistenti, Napoli, dalla stamperia de’ Fratelli Fernandes, 1818, p. 45.
13 Guglielmo Heude, op. cit., voi. II, pp. 36-37.
14 Giunse alle medesime conclusioni sulla penetrazione russa tra i yezidi il britannico J. Ussher, A journey from London to Persepolis - including wanderings in Daghestan, Georgia, Armenia, Kurdistan, Mesopotamia, and Persia, London, Hurst and Blackett, 1865, p. 285.
15 Boghos Levon Zekiyan, La spiritualità armena. Il libro della lamentazione di Gregorio di Narek. Traduzione e note di Boghos Levon Zekiyan, Roma, Edizioni Studium, 1999, pp. 25-26.
16 Joseph Yacoub, Babylone chretienne. Géopolitique de l’Église de Mésopotamie, Paris, Desclée de Brouwer, 1996. p. 86; Mirella Galletti con contributi di Alessandro Mengozzi, Cristiani del Kurdistan: assiri, caldei, siro-cattolici e siro-ortodossi. Introduzione di Franco Cardini. Roma, Jouvence ed. [Collana Saggi 25], 2003, p. 25.
17 Mirella Galletti, Storia dei curdi. Roma, Jouvence, 2004, pp. 96-101.
18 "Kurdistan”, Encyclopaedia Judaica, 1971, voi. X, p. 1295.
19 Notizie bio-bibliografìche su Maurizio Garzoni sono riportate da Mirella Galletti, “Curdi e Kurdistan in opere italiane dal XIII al XX secolo”, op. cit., pp. 52-55. L’opera fondamentale di Maurizio Garzoni è Grammatica e vocabolario della lingua kurda composti dal P Maurizio Garzoni De Predicatori Ex-Missionario Apostolico, Roma, Nella Stamperia della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, 1787, pp. 288. Sui yezidi si veda di Maurizio Garzoni, "Della setta delli Jazidj”, incl. in Domenico Sestini, Viaggi e opuscoli diversi, Berlino, Carlo Qvien, 1807, pp. 203-212; trad.fr. [Silvestre de Sacv], "Notice sur la secte des Yézidis”, in M*** [Jean-Baptiste-Louis-Jacques Rousseau], Description Ju pachaltk de Bagdad, suivie d’une Notice historique sur les Wahabis. et de quelques autres pièces relatives à l’Histoire et à la Littérature de l’Orient, Paris, Treuttel et Wùrtz, 1809, pp. 191-210. Lo scritto fu integralmente riproposto da Giuseppe Furlani. “Maurizio Garzoni sugli Yezidi”, in Studi e materiali di storia delle religioni, voi. Vili, 1932, p. 166-175.
20 Vladimir Minorsky, Thomas Bois, “Kurdes et Kurdistan”, Encyclopédie de l’Islam, voi. V, Leiden, Brill, 1981, pp. 441-442.
21 Iliya F. Harik, “The ethnic revolution and politicai integration in thè Middle East”, in Arali society in transitimi. A render, a cura di Ibrahim Saad Eddin e Nicholas S. Hopkins, Cairo, The American University in Cairo, 1977, p. 479.
22 Bernard Lewis, The emergence of modem Turkey, London, Oxford University Press, 1968, p. 356.
23 A rigor di termine il primo genocidio come “esercizio” dell’imperialismo germanico sarebbe quello degli herero nell’Africa sud-occidentale (1904-1905). Ma era un atto imperiale, non ancora l’espressione di una precisa politica come fu il panturchismo e poi il nazionalismo turco.
24 Harry Norris e David Taylor, The Christians, in Some minoritìes in thè Middle East, a cura di Richard Tapper, London, Centre of Near & Middle Eastern Studies -School of Orientai and African Studies, University of London, 1992, p. 26.
25 Johannes C.J. Sanders, Assyrian-Chaldean Christians in Eastern Turkey and Iran: their last homeland re-charted, The Netherlands, A.A. Brediusstichting, 1997, pp. 96.

Dando alla luce queste memorie, che raccolsi in varii viaggi da me fatti nell’Armenia, nel Kurdistan e nel Lazistàn, al servizio dell’esercito ottomano, non è mia intenzione di portare un tributo alla scienza sotto qualsiasi rispetto, ma soltanto di fornire qualche nozione intorno agli abiti ed ai costumi di genti che abitano paesi poco conosciuti.

Fin dalla prima volta che dal governo ottomano fui inviato in Asia colla guardia imperiale, cioè nel 1855, mi toccò percorrere una parte della Georgia ottomana e russa, tutta l’Armenia, il Lazistàn e buon tratto del Kurdistàn. In quella occasione feci quanto era in mio potere per istudiare quelle regioni e raccolsi molte notizie in proposito, ma non volli pubblicarle, perché non àncora appurate quanto avrei desiderato. Se non che i bisogni del servizio avendomi chiamato a rivedere que’ luoghi e quindi condotto ad aggiungere nuove osservazioni alle già fatte, mi parve che ormai avrei avuto materia sufficiente per comporne un libro, ordinando le cose in modo che le prime indagini e le prime osservazioni figurassero come episodi deH’ultimo viaggio. Che se il mio scritto avesse lasciato qualche cosa a desiderare, mi confortava in certo modo il pensiero che il lettore non ne avrebbe ascritta a me tutta la colpa, ma anche alle condizioni poco propizie in cui esso fu redatto.

Infatti la guerra turco-russa che fervea in que’ paesi, quando vi andai la prima volta, non mi permise di trattenermivi a piacimento a fine di studiarli; e come soldato, non era in mio potere il far sosta quando e dove voleva, sibbene ove il militare servizio lo richiedeva. Né mi trovai in condizioni migliori nell’ultimo viaggio, perocché niuna m’accompagnava di quelle comodità, di cui sogliono munirsi i viaggiatori, che percorrono l’interno di lontane ed inospite regioni; un cavallo da sella, le armi, un cavallo da carico pel bagaglio e talora neppur questo, ecco il mio ricco equipaggio: a ciò aggiungasi un allarme, un attacco da parte di quelle ardite e numerose bande kurde a cavallo, a null’altro intente che alla rapina; e di leggeri si scorgerà che in tanto scompiglio non è sì facile serbare l’ordine della mente necessario alle pacifiche investigazioni.
.....

 




Fondation-Institut kurde de Paris © 2024
BIBLIOTHEQUE
Informations pratiques
Informations légales
PROJET
Historique
Partenaires
LISTE
Thèmes
Auteurs
Éditeurs
Langues
Revues